Ecco ci risiamo. L’ennesimo artista mascherato della scena EDM. Sembra quasi che l’edonismo che troviamo nel resto del mondo dello spettacolo (musica, cinema, televisione che sia) viva l’inverso nel mondo dei produttori e DJ della scena elettronica, dove osserviamo una corsa al mimetismo e al trasformismo a tutto tondo.
Come altri Claptone veste una maschera, la sua è quella di un dorato untore veneziano.
La missione potrebbe quindi essere letta come quella di infestare la scena musicale con una house piaciona frutto di numerose influenze, volte a definire uno stile proprio e particolare.

Claptone sale alla ribalta della scena prima berlinese e poi internazionale già  dal 2012, e diviene in breve tempo noto come DJ, remixer e producer a tutto tondo. Tra gli svariati remix annoveriamo quelli a Metronomy, Klaxons, Pet Shop Boys, Romanthony and The Magician, che permettono all’artista di crearsi un profilo a raggio internazionale nella scena dell’house music.

L’obiettivo di Claptone è dichiarato sin dal suo nome: i termini “‘clap’ e “‘tone’ uniti in una sola cosa hanno l’intento di far tenere il tempo accompagnandolo con il battito delle mani. Così come il titolo dell’album non lascia adito ad interpretazione se non quella più lettererale. Ogni traccia dell’LP è concepita da un punto di vista estetico e musicale per entrare nella testa dell’ascoltatore, che affascinato non può più farne a meno. Questo almeno nella volontà  dell’artista.

Le svariate collaborazioni (11 su 13 brani) danno l’impressione di voler strizzare l’occhio al mondo pop per allargare il più possibile la base a cui l’album arriverà : Nathan Nicholson (The Boxer Rebellion), Peter Bjorn & John, Jimi Tenor, Jaw, Young Galaxy. Le influenze sono dunque numerose ma come già  detto il lavoro di Claptone è quello di creare un’amalgama che rende il prodotto finale indistinguibile. Cambiando l’ordine degli addendi, la voglia di ballare non cambia.

“Ghost” è probabilmente la miglior traccia dell’album. Sarà  che spicca sulle altre perchè differente o semplicemente perchè raggiunge picchi stilistici notevoli. Sarà  la collaborazione con Clap Your Hands Say Yeah. Ghost ha il beat distintivo del resto dell’album con l’aggiunta di un elemento che fa da arpione per la nostra attenzione, il suono di una chitarra in pieno stile latino che dall’inizio accompagna tutto il brano. è l’eccezione che rende il sound accattivante anche per chi non è appassionato di house o dance music in generale, summa maxima del Claptone pensiero.

Notevole da un punto di vista dell’importanza del ritmo funky sul battito del tempo è “The Music Got Me”; sembra esser nata per il dancefloor e il risultato è quello di contagiare sin dal primo beat. Il testo è esautorato al minino e ripetitivo formando un ritornello continuo. Uno studio accurato della produzione dei Pet Shop Boys è evidente.

Nota speciale meritano anche “No Eyes” e “Puppet Theatre”, entrambe vive e piene di energia tanto da rendere quasi impossibile rimanere seduto.

Il progetto di aprire quanto più al mainstream la propria produzione è ambizioso e coglie l’attimo visto che il mercato attuale potrebbe ben recepire questo tipo di soluzione (si parlo dei Disclosure). L’ambizione però si deve scontrare con la realtà  che è composta da un album che alla lunga può risultare piatto e ridondante eccezione fatta per le citate perle.
Riuscirà  il nostro untore mascherato ad infettare quanto più possibile il mondo?.