“Hell” è l’ultimo EP registrato dai Pains Of Being Pure at Heart a distanza di un anno e mezzo dall’ultimo lavoro “Days Of Abandon”.

La produzione della band è stata sempre legata ad un certo pop di matrice anni ’80-’90. Le loro fonti di ispirazione sono chiare e ben definite, così come la loro originalità  nel riprodurre un suono autentico senza finire nel più semplice e bieco timore reverenziale.

“Hell” viene pubblicata inizialmente dal leader della band, Kip Berman, come demo insieme ad altri pochi brani, forse non inclusi nell’ultimo “‘Days Of Abandon’.

Il groove del brano è fortemente disco e ben si associa al contenuto del testo che a detta dello stesso autore “‘parla dell’insopportabile spettacolo di sensibilità  che incomincia quando c’è una bella canzone da ballare e la persona giusta con cui farlo’. Stilisticamente e musicalmente c’è un chiaro richiamo agli Orange Juice, con Berman che modula anche la sua voce rendendola quanto più simile a quella di Edwyn Collins a di rimando a quel Pete Shelley (Buzzcocks) a cui lo stesso Collins si ispirò.
Il brano sembra comunque essere un tassello mancante dell’ultimo LP più che un anticipo di uno nuovo; poco aggiunge inaftti in termini di creatività  musicale e stilistica a “Days Of Abandon”.

Le altre due tracce che completamento l’EP sono due cover, “Ballad of the Band” dei Felt e “Laid” dei James. I Felt sono strettamenti legati al lavoro dei The Pains Of Being Pure At Heart, tant’è che una cover sembra quasi doverosa ma allo stesso tempo ridondante. Sembra aggiungere davvero poco di personale per renderla la cover apprezzabile e interessante.
La rilettura di un brano nel proprio stile è fondamentale durante il proceso di coverizzazione, ma se già  la band di base deve ai Felt buona parte della loro ispirazione, si rischia di scadere nel semplicismo di un qualcosa di già  sentito.

Discorso diverso per “Laid”, tornata sotto i riflettori grazie alla presenza nella OST di American Pie, dove invece il lavoro fatto da Berman risulta essere gradevole e non fa da eco alla versione originale.
In entrambi i casi l’atmosfera che si respira è quella dei Cure, versione spensierata di “‘In Between Days’.

Certo è che se le cover possono aiutare a sbloccare la stasi di un empasse creativa, ben vengano.
Il sentore del “‘vorrei ma non posso’ è però troppo predominante in questi tre brani, tanto da doverci far concludere che ci aspettiamo un netto cambiamento di rotta per quello che sarà  la produzione futura, vista l’aspettativa che la band stessa ha creato su di sè con i primi ottimi lavori.
E considerare questo come un semplice regalo fatto ai fan in attesa di novità .