i Black Mountain non pubblicavano un album, dai tempi del loro terzo disco, l’ottimo “Wilderness Heart”. è pur vero che tra Pink Mountaintops e altri progetti collaterali vari non se ne sono stati con le mani in mano, però comunque un gran bel lasso di tempo.

Tornano oggi con “IV”, titolo non a caso per un band che ha sempre idolatrato i Led Zeppelin, un disco che per l’ennesima volta dimostra le ottime capacità  amarcord della compagine canadese, guidata da Stephen McBean. Come detto, la formazione si rifà  non a caso all’elettricità  più classica e robusta, vantando un imponenza sonora che la rende capace di reggere sulle spalle rimandi storici ingombranti e l’abilità  nello scrivere canzoni capaci d’imprimersi con inossidabile forza nella memoria, ne fa una delle formazioni rock fondamentali degli ultimi dieci anni.

L’album è un turbinio di hard-rock, visionaria psichedelia alla Goat , prog, space-rock, infarcito d’inflessioni kraut-elettroniche, ma pure folk, blues, classic-rock.. In bilico tra la visionarietà  del capolavoro “In The Future” e la varietà  dell’esordio, il disco si apre con “Mothers Of The Sun”, dai rimandi prog-psichedelici, dove furoreggiano sia gli assoli di McBean che i synth vintage di Jeremy Schmidt.

Subito dopo, “Florian Saucer Attack” certifica una folle corsa verso lo spazio, con percussioni e chitarre progressive che inseguono le parti vocali di Amber Webber. “Defector”, un duetto dalle atmosfere oppressive e tetre, con McBean e la stessa Webber a creare tessiture vocali, assembla synth carpenteriani in una ballata dall’aura cosmic-blues; “You Can Dream” è un mantra melodico che cita i Suicide lasciando fluire chitarre liriche ed elettronici effetti space e retrofuturistici; “Constellations” appaia un riff rock che più classico non si può, ai filamentosi fraseggi di synth; “Line Them All Up”, tutta nelle mani di Amber, è un’avvolgente e visionaria ballata acustica psych-folk; bellissima “Cemetery Breeding”, altra ballata la cui melodia aperta contrasta con un mood dark di fondo.

A dir poco onirico il finale, con tre pezzi che da soli occupano quasi venticinque minuti dell’intero album. “(Over And Over) The Chain”, mesmerico intro droning e poi giù a rotta di collo lungo le traiettorie di una psichedelia tribale ed ipnotica, dalle chitarre acide; “Crucify Me”, ballata zeppeliniana lisergica e sognante.
Opera tanto lunga quanto varia come mai prima era accaduto nella discografia della band, “IV” è l’espressione perfetta dello stato di grazia e della freschezza di una band i cui limiti, al momento, non sono individuabili.

Credit Foto: Olivia Jaffe