Campane elettroniche, percussioni metalliche, paesaggi tecno-bucolici, ritmi house, sapori dance, minimal e dubstep: l’ultimo lavoro di herr Hendrik Weber ““ alias Pantha Du Prince ““ oltre a segnalare che il producer tedesco è ancora vispo (6 anni dall’ultimo disco solista, “Black Noise”), conferma la virata su  architetture sonore più fruibili, emozionali, visive quasi. Nelle 10 tracce in cui collaborano in ordine sparso i componenti del  Bell’s Laboratory, Bendik Kjeldsberg e Scott Mou (qui presenti come Queens), più una manciata di altri ospiti, c’è un po’ la summa di quell’elettronica made in Germany dolce e malinconica che ha in Paul Kalkbrenner il suo nume tutelare. “Black Noise” aveva molto a che fare con la solitudine di una piccola stanza a Berlino nella quale ho composto la musica di quel disco, ha fatto sapere Weber ai media. «The Triad, al contrario, apre le strutture a modalità  umane dell’interazione, non a modalità  digitali d’interazione. Non ha a che fare con Facebook, piuttosto è un trovarsi insieme a fare delle jam. Con questo disco ho voluto levar via la polvere digitale che ci circonda».

Già  nella opening track, “The Winter Hymn”, c’è uno dei minimi comuni denominatori del disco: campane, elettroniche ovviamente. Lo strumento è il carillon e Pantha Du Prince è considerato uno dei producer più innovativi rispetto all’utilizzo di questo “tool” usato nelle chiese. L’effetto è sicuramente distensivo e pacificante (come nell’intro e in alcuni passaggi di “Frau Im Mond ““ Sterne Laufen”); il problema sorge quando se ne abusa, con la sensazione a tratti disturbante di trovarsi con Heidi e Peter a mungere mucche nelle valli tirolesi. Ma tant’è. Weber ci sa fare, impossibile negarlo. Il paesaggio sonoro-sensoriale non è molto eterogeneo ma cattura l’ascoltatore, trasportandolo  da atmosfere bucoliche in salsa dance a scenari più gelidi e hard (senza mai esagerare però). L’umore generale è un’euforia contenuta, che divampa per alcuni artifici sorprendenti che il dj tedesco sa obiettivamente realizzare ma che nello stesso tempo stenta a decollare a causa di uno stile, o meglio un approccio che,  anzichè sublimare la struttura sonora, tende a trattenerla. Non fanno eccezione in questo senso “You What! Euphoria” e “In An Open Space”, quest’ultima addolcita e ancora di più dilatata grazie ai ricami vocali di Pantha Du Prince. E a quelle immancabili campane…

Interessante è “Frau Im Mond ““ Sterne Laufen”, sebbene un avvio in sordina, il brano poi decolla, tra bassi incalzanti e un mantra da tempio tibetano che le restituisce un’atmosfera di fondo tra le più affascinanti. “Chasing Vapour Trails” (con Joachim Schultz e Kassian von Troyer) prova a creare un sapore più duro e convinto, con un finale di impulsi elettronici, vocalizzi melodici ed echi pulsanti. Un tentativo che, anche qui, non riesce proprio benissimo. Ma è con la bella e conturbante “Lichterschmaus” che Weber si avvicina di più ai loop analogici in stile The Field. Bello il pezzo, bella l’atmosfera che riesce a comporre.

Resta sullo stesso mood danzereccio “Dream Yourself Awake”, mentre prova a partire verso universi lontani “Lions Love”, dal sapore Minus e vagamente psy (con molti meno bpm però, ovvio). Il viaggio volge al termine e per l’occasione Pantha Du Prince decide di stupire, provando a imboccare sentieri paralleli. “Islands In The Sky” inizia con un suono suggestivo, un battere di tacchi lungo una strada solitaria poi il canto, suadente (sicuri che non sia Dave Gahan?), a sostenere un brano complessivamente solido e misterioso. Arriva infine l’eterea e quasi impercettibile “Wallflowers For Pale Saints”, che tra chitarre acustiche e melodie nostalgiche mette la parola fine a uno dei viaggi elettronici tutto sommato più originali degli ultimi mesi.