Piacere di conoscerti, Oscar Scheller, o semplicemente Oscar. Nome d’arte abbastanza discutibile, ma soprassediamo, perchè la storia di questo figlioccio degli anni ’90 è in realtà  interessante. Registrò un EP ““ “146b” ““ seduto sul letto, con un MacBook sulle gambe, nell’arco di una sola giornata. Narrano questo, le cronache dell’anno 2014, dove Oscar, preso probabilmente dalla noia di una piovosa giornata in terra d’Albione, mise insieme i primi pezzi della sua (futura) discografia.

“Cut and Paste” è il primo album vero e proprio; “Sometimes” ne è traccia d’apertura. Frutto di una certosina ricerca della formula magica, il disco riesce da subito a far sobbalzare l’ascoltatore e chiedersi da dove diavolo saltino fuori quel loop e quella voce baritonale. Oscar ricorda vagamente Morrissey mentre il suo pop zuccherato e ““ lo ammettiamo ““ un po’ geek inonda la stanza. Pochi sono gli ingredienti che fin dalla prima portata occupano la scena: ritmiche semplici, una chitarra non troppo invadente, qualche spruzzata di elettronica qua e là . Poi le liriche, che con il synth giocano a intrecciarse tra semitoni e variazioni sul tema.

Non c’è dubbio che la stampa Britannica abbia svariate buone ragioni nel definire questo ragazzo come l’erede di gente del calibre di Blur, Travis o The Magnetic Fields. Quel che scrive Oscar è facilmente assimilabile, tanto nei testi quanto tra i giri armonici di questi 34 minuti di Cut and Paste. Dieci pezzi dieci, con un pregio su tutti: suonano freschi e si fanno ben volere. “Daffodil Days”, ad esempio, ha una storia alquanto bizzarra. E’ ispirata a una giornata di quelle infinite e un po’ complicate, impreziosita da un bizzarro autocorrettore che cambiò “difficult” in un incomprensibile “daffodil” nel bel mezzo di un sms inviato a un amico. E’ un pezzo di quelli che lasciano il segno, come lo sono la dolcissima “Fifteen” (scritta durante un amore turbolento come quelli che si vivono a 15 anni, appunto), oppure “Good Things”. Completano il quadro altri godibili momenti, regalati da “Only Friend”, “Breaking my Phone” e “Beautiful Words”. Provare per credere.

Sembra recepire e digerire la lezione che il Britpop ha consegnato ai teenagers di una generazione fa, questo Oscar. Lo fa con la naturalezza con cui si berrebbe un bicchiere d’acqua, in un indie pop senza fronzoli, che si manifesta con piccoli movimenti lo-fi e quel “do it yourself” che tanto va di moda ma che necessita di qualità  per dare i propri frutti. “Cut and Paste” è un bell’esordio, tinto di un romanticismo un po’ oscuro e di nostalgia appena sussurrata. E’ un disco che sa arrivare al punto senza troppi indugi, con una formula semplice e un discreto coraggio. Che somigli a qualche quadro già  ammirato in passato, poco importa; tra i dettami della scena attuale Oscar non sfigura. Tutt’altro.