Ci sono concerti e concerti. Ammettiamolo.

A volte li aspetti per mesi, contemplando tutto il possibile per anticipare le emozioni di quella band che sogni di vedere da tempo. Poi ci sono quelle date inattese, quegli eventi che ti piovono in testa senza nemmeno avvertire. E ti ritrovi nel bel mezzo di una venue sold out da settimane, con quattro giganti sul palco a prenderti per i capelli e trascinarti qua e là  senza un ordine preciso. Loro sono i Pixies, e fanno parte di quella schiera di artisti che ho adorato in passato e che includo in una personale lista di to do things.

Capita tutto come un fulmine a ciel sereno, ed è selvaggio, senza regole. Un motivo ci sarà  se più o meno tutti i mostri sacri del rock internazionale hanno prima o poi citato i Pixies quali ispiratori di una certa corrente musicale iniziata a metà  anni ’80 e quindi protrattasi fino ai nostri giorni, inossidabile. Dopo l’apertura di Coves, è il loro turno. Arrivano alla spicciolata, in leggero ritardo rispetto alle canoniche 9pm previste, quasi a voler montare oltre modo un’attesa che alla O2 di Brixton è già  spasmodica. Aprono con “Bone Machine”, da quell’album monumentale che fu Surfer Rosa. Proseguono con la celebre cover di “Head On” (The Jesus and Mary Chain). Il pubblico è già  in fiamme, tra pogo colossale sotto al palco e gente di tutte le età  a dimenarsi. Vedo uomini nei loro 40 abbondanti con gli occhi lucidi, ragazzini che potrebbero essere i loro figli in totale delirio, ma anche tante donne, adolescenti all’epoca delle origini dei Pixies, tutti uniti sotto il tetto di un rock che spazia tra garage, punk e tuffi psichedelici. In quella salsa alternative che ha sempre conferito alla band di Boston un alone di misteriosa e a tratti incompresa bellezza.

Corrono a più non posso, Black Francis (o Frank Black, fate come vi pare) e soci. Non si fermano nemmeno per respirare. Suonano “Wave of Mutilation”, “Subbacultcha”, l’inedita “Head Carrier” (il nuovo album di inediti uscirà  a Settembre) e “Velouria”. Poi è il turno di “Indie Cindy”, che spezza definitivamente gli equilibri di una serata che pian piano diventa epica. C’è spazio per i grandi classici, per la maggior parte presi dagli album che hanno fatto la storia della band, quali Doolittle, Surfer Rosa e Bossanova. “Brick is Red”, “Hey”, “Snakes” – tra le altre – si alternano in una cavalcata pazzesca che porta alle perle della serata. “Tame” scuote le anime, “Nimrod Son’s” le fa a brandelli, “Where Is My Mind” raccoglie i pezzi  e rimette tutto assieme. C’è ancora tempo per “Here Comes Your Man” così come per l’immortale “Debaser”.

Li vedo nitidi sul palco, i quattro Pixies, stremati ma sorridenti, intenti a ringraziare il generoso pubblico della O2 Academy di Brixton, a inchinarsi, a salutare una volta ancora. Prima di un ultimissimo pezzo, la solitaria “Planet of Sound”, encore che porta alla chiusura del sipario dopo una cavalcata di 30 pezzi e oltre un’ora e mezza di pura adrenalina, zero chiacchiere solo chitarre distorte e passione.

Ecco a voi i Pixies, signori, eccovi un’ennesima dichiarazione d’amore per la musica. Un qualcosa che non ha età , non ha colore, non ha lingua: è forse l’unica, vera bandiera universale. è quella sensazione di ebbrezza pur essendo sobri. è il far fatica a prender sonno perchè nella testa c’è un riff impazzito che non ti lascerà  stare fino a domani. è il chiudere gli occhi e ritrovarsi ancora lì in mezzo, sudati, con la pelle d’oca e il cuore che va per conto proprio. E chi ci pensa a quel che c’è fuori, quando ciò che conta è proprio tutto questo.

SETLIST
Bone Machine, Head On, Wave of Mutilation, Subbacultcha, Head Carrier, Velouria, Indie Cindy, Monkey Gone to Heaven, Classic Masher, Levitate Me, Isla de Encanta, Broken Face, Um Chagga Lagga, I’ve Been Tired, Magdalena 318, Brick Is Red, Tony’s Theme, Snakes, Gouge Away, Baal’s Back, Hey, Rock Music, Tame, Nimrod’s Son, Where Is My Mind?, Here Comes Your Man, Vamos, Caribou, Debaser

Encore: Planet of Sound

Photo: Angie Garrett (smoorenburg) / CC BY