Raccontare la storia di Mike Kinsella, a.k.a. Owen, è un come raccontare un frammento di storia dell’ultimo ventennio. Non potrebbe essere altrimenti, del resto, quando le luci si posano sul musicista, poli-strumentista e cantautore dell’Illinois, celebre per una lunga carriera musicale spesa a fare le fortune di diverse band iconiche della scena indie Americana. Joan of Arc, Cap’n Jazz, Owls, ma soprattutto American Football, spesso al fianco del fratello Tim. Owen è il suo progetto più personale, giunto con “The King of Whys” al nono capitolo in studio.

Lo avevamo lasciato nel 2015 con un’ultima, fugace apparizione discografica, in uno split con Evan Thomas Weiss di Into it Over it. Questo nuovo disco ““ che esce con la fedele Polyvinyl Records ““ descrive l’arco di una vita, perchè i 39 anni compiuti da Kinsella rappresentano quel temuto passaggio all’età  che presume una presa di coscienza definitiva. Lo si capisce, ascoltando le dieci tracce che formano la spina dorale di questo LP. Dal self-titled d’esordio al 2016 sono passati ben 15 anni. La maturazione artistica di Kinsella è avvenuta con passaggi delicati e una densità  di qualità  andata via via aumentando. Gli step della carriera solista ““ citiamo soprattutto i piccoli capolavori che furono “I Do Perceive” (2004), “At Home with Owen” (2006) e “New Leaves” (2009) ““ hanno via via segnato la ricerca interiore di cui il cantautore si è fatto portavoce, non senza momenti di forte malinconia.

Questo “The King of Whys” sembra raggiungere un nuovo livello di introspezione, presa di coscienza e voglia di guardare al futuro con un importante bagaglio di esperienza sulle spalle. Owen sussurra piccole confessioni, in un’atmosfera sempre in bilico tra una malcelata malinconia e maggiore distensione. In “Empty Bottle”, ad esempio, gioca a nascondino tra bottiglie vuote e finestre che riflettono qualcosa che si ha solo la speranza di vedere, quale metafora di effimere dipendenze. Questo fragile cammino tra ansie e depressione si nasconde in una progressione di chitarre e percussioni in levare che conferiscono al brano un senso di indeciso incedere. La consapevolezza del tempo che scorre imperterrito, quindi, emerge del tutto in “Lovers Come and Go”, “An Island”, oppure in una “Settled Down” che ricorda a pieno titolo proprio la più recente esperienza di Into It Over It.

Il quadro è semi-autunnale, con note di colore che si stagliano qua e là  in un passionale auto-ritratto che ci mostra quest’uomo  con un sorriso più sereno. è pur sempre intento a tenere a distanza immaginari demoni, ma con il carattere di chi ha visto molto e voglia di andare oltre. Nella musica, certo, ma nella vita soprattutto. è quello che Owen ci dice in questo disco, che vive di altri momenti di cristallina bellezza, quali “Turniquet”, “A Burning Soul” (in cui una controversa figura paterna viene descritta in un’altalena di metafore), oppure la spettacolare “Lost” di chiusura.

“Sto bene”, sembra voler dire il cantautore, pur lasciando intendere che si può sempre fare meglio. Del resto, le complessità  della vita vanno affrontate, prima o poi. Non è semplice e non è certo immediato; non tutte le domande avranno risposte. Molte di esse vale la pena esplorarle più a fondo. Eccoci, allora, di nuovo al titolo di questo album pieno, bello come il sole e ancora sognante. Owen è il re dei perchè: un po’ come noi tutti, del resto.

Credit Foto: Shervin Lainez