Tutte le storie con protagonista la musica partono da un incontro fortuito.
Ed io ho conosciuto gli Strokes nella maniera più causale e meno romantica che possa immaginare: “Reptilia” come OST di un videogioco.
Neanche ricordo quale.

Avevo quindici anni e stavo appena uscendo da una fase della mia vita in cui mi ero imposto di ascoltare solo musica metal o giù di lì.
A quei tempi pensavo che una canzone fosse valida nella misura in cui fosse tecnicamente elaborata e complessa.
Per quanto stessi vivendo una fase di passaggio masticavo e vivevo ancora di quei retaggi che mi ero andato a costruire nel tempo.

La prima cosa che mi sconvolse ascoltando gli Strokes, ricordo bene, fu la chitarra.
Era essenziale, scarna, ripetitiva e si apriva a metà  del brano in un assolo geometrico.
Non potetti esimermi dal constatare che “Reptilia” si ponesse in contrasto con tutto quello che credevo e, per quanto la cosa mi sconvolgesse, la cosa che mi disturbava maggiormente era la facilità  con cui quel brano mi fosse entrato sotto la pelle: nel giro di un ascolto, di una manciata di minuti, era diventato mio e non volevo lasciarlo più.

Ero un adolescente e come tale ero naturalmente predisposto a farmi trasportare dalle cotte, da amori di pancia estremi e gelosi.
Mi dedicai totalmente all’ascolto e l’approfondimento del loro catalogo e della loro storia, accorgendomi brano dopo brano e pagina dopo pagina di aver tra le mani qualcosa di veramente ingombrante. La cosa mi rendeva profondamente orgoglioso.

Così passai la mia estate da liceale a riempire il lettore mp3 di tracce provenienti da “Is This It” e “Room on Fire” più qualcosina di “First Impressionf of Earth” e su quelle rimasi fossilizzato per parecchi mesi.
Il metal era stato completamente accantonato a favore di qualcosa che fosse più congeniale all’immagine da fico che volevo trasmettere alle ragazzine di Bagni Alfredo.

Ai tempi “Is This It” aveva solo sei anni ma già  era considerato una pietra miliare della storia recente della musica.
Oggi ne compie quindici e può essere considerato a tutti gli effetti il capostipite del genere indie-rock, così come lo conosciamo noi.

Fin dai primi passaggi di “Last Nite” in radio si aveva l’impressione di assistere a qualcosa di epocale, ad un giro di boa del garage rock, in cui la melodia si assottigliava per diventare più tagliente.
Con il passare degli anni il mito è andato ad ingigantirsi, vuoi perchè l’album è invecchiato benissimo, vuoi perchè la carriera degli Strokes da quel primo capolavoro è stata una lenta discesa verso il tonfo finale.

Ora, a distanza di nove anni dal mio primo ascolto, mi sono chiesto cosa fosse, e sia, veramente a rendere speciale questo album.
Non avendo la presunzione di formulare giudizi assoluti sono andato a scavare nella mia storia.

Ci sono sicuramente dei motivi più concreti e superficiali.
Le melodie di Albert Hammond Jr : perchè diciamocela tutta, per quanto Nick Valensi possa fare il bullo con quella sua chitarra a penzolare ed i capelli al vento, è il tenero ragazzo della porta accanto dai capelli sempre più radi e la chitarra ascellare a tenere le fila di quelle partiture scandite e meccaniche. E’ dalla sua chitarra che nasce l’inno di festa a cui noi tutti ci siamo affezionati e non trovo che sia un caso che nell’ultimo periodo siano state molto più convincenti le sue prove da solista rispetto a quelle con la band al completo.

Fab Moretti e la sua puntualità : perchè, raccontiamocela di nuovo, non abbiamo mai sentito una batteria così precisa ed austera in vita nostra. O magari l’abbiamo pure sentita ma non ce la ricordiamo e qualcosa dovrà  pure significare, no?

La voce e Julian Casablancas: e qua potremmo aprire una parentesi enorme. Penso che si potrebbe scrivere un tesi di laurea sulla capacità  di incidere di Julian data la sua totale mancanza di talento e di gusto. Perchè è oggettivamente stonato e sguaiato. La sua voce è arrugginita, sporca e lamentosa.
E’ anche un po’ tamarro e trasandato e si muove sul palco con la stessa disinvoltura con cui io mi muoverei ad uno Schiuma Party al Peter Pan di Riccione.
Quindi, quale è il punto?
Che è il miglior peggiore che potesse capitarci. Tutti i suoi difetti lo rendono unico e riconoscibile.
Oltretutto immagino che ci piaccia pure pensare che per una volta si riesca ad andare oltre il gusto puramente estetico di una bella voce.
Ascoltare un cantante stonato ci fa sentire un po’ meno distanti dall’artista ed anche un po’ più buoni e meno superficiali.

Poi, a rendere speciale “Is This It” quindici anni dopo sono soprattutto fattori irrazionali.
Io, per esempio, so che non avrei lasciato questo articolo a nessuno al mondo perchè sono profondamente geloso di questo album. E’ mio e lo sarà  per sempre.
In maniera assoluta ed esclusiva.
Questo perchè fondamentalmente per quanto io possa essere maturato gli Strokes rimangono la mia cotta adolescenziale e lo rimarranno per sempre.
E non solo perchè li ho conosciuti a quindici anni: è la musica stessa di “Is This It” a trasportarci in una zona immacolata, luminosa e puzzolente, come una festa di liceali qualunque a cui non ci si divertiva ma si faceva finta lo stesso.
E’ la struttura stessa dei brani a suggerirci una leggerezza ed una spensieratezza che è estranea alla maggior parte della musica.
Così ancora oggi io ascolto “Someday” e penso alle partite a calcio in campagna durante le pause da scuola per il 25 Aprile. Non perchè la canzone fosse in sottofondo in quei particolari momenti ma perchè mi trasmette quello stesso sentimento ascetico di menefreghismo e gioia, nonostante il giorno dopo ci fosse e c’è ancora la scuola, come il lavoro o le consegne per l’università .
Così i miei coinquilini, malati di musica prog e refrattari a canzoni che durino meno di dodici minuti, mi chiedevano di diffondere in cassa ogni tanto “Hard to Explain” o “The Modern Age” perchè “ci mette allegria”
Così ad ogni festa “last niteee she saiiiid” tutti abbracciati anche se alla fine si torna a casa sempre da soli.
Così un giorno, mentre infantilmente mi prendo in giro con un mio amico comincio a cantargli un motivetto per dargli fastidio e quel motivetto fa “Take it or leave it, and take it or leave it!”

Tutte circostanze che vado a rispolverare per darmi una risposta che non sia arida di tecnica.
“Is This It” semplicemente ridona vigore alla parte più infantile di noi, della quale ci vergogniamo ma che non vorremmo perdere mai.
“Is This It” è ridere con gli amici dei tagli di capelli imbarazzanti che si aveva a sedici anni, ma con nostalgia. Una sana e gioiosa nostalgia.
Come Pokemon Go ed il successo esagerato che ha avuto: ci piace ricordare chi eravamo e ci piace riprovare quello che ci piaceva un tempo, solo per riscoprire l’effetto che fa.

Ogni volta che sento “Alone, Together” mi viene un po’ da piangere, ma non perchè la canzone è commovente: semplicemente mi racconta da dove vengo e quale è il bagaglio che mi porto dietro.
Che la vita per quanto a volte sia complicata rimane sempre quella bella festa di cui ci cantano gli Strokes.

The Strokes ““ Is This It
Data di pubblicazione: 30 luglio 2001 – USA
27 agosto 2001 – UK
Tracce: 11
Lunghezza: 44:09
Etichetta: RCA – Rough Trade
Produttori: Gordon Raphael

Tracklist:
1. Is This It – 2:35
2. The Modern Age – 3:32
3. Soma – 2:38
4. Barely Legal – 3:54
5. Someday – 3:07
6. Alone, Together – 3:12
7. Last Nite – 3:18
8. Hard to Explain – 3:48
9. New York City Cops – 3:36
10. Trying Your Luck – 3:28
11. Take It or Leave It – 3:16