Mi sento come un gigante che gira la ruota, ora so come si devono sentire i preti.
La mia anima sanguina, non so cosa ho fatto.

Sono versi di un bambino saggio, di un sapiente incurante della bassezza e della vacuità  profana del mondo.
è nell’ innocente potenza e nell’ assenza di malizia delle parole dette con voce spezzata che gli Okkervil River splendono di riflessi alternative folk rock dalle sbavature country. Direttamente da Austin, Texas, il nuovo ottavo lavoro “Away” arriva a dimostrazione di come questa band sia stata capace ancora una volta di unire la bellezza del suono più puro a quella di un pensiero raffinato e rasente al filosofico.

Voglio essere morto per un giorno per sparire tra due note in una scala dodecafonica, cantano nell’ultimo dei 9 brani che compongono il disco.

“Away”, si chiude come si apre: pensieri sulla fine, sull’andarsene, su quello che si lascia e quello che si trova. Tutto inizia con una morte: quella di Will Sheff e colleghi i “Okkervil River RIP”. Una morte che si trasforma in un riferimento spirituale e religioso praticamente costante, in un interrogativo su un dopo, un poi, un altro (emblematica “Frontman in Heaven”).
Una morte che poi però diventa un risveglio sonoro onomatopeico in “Call Yourself Renee” e che è in grado di evolversi in una costante pervasiva ricerca musicale. Un’originalità  che permea tutto, anche una canzone di solitudine e amore finito come “The Industry”. “Pensavo di essere noi contro il mondo, ma ora sono io contro qualcosa di così grande che non riesco a capire cos’è”, canta Sheff: sono parole che potrebbero risultare ovvie e usurate. Ma c’è qualcosa che le rende speciali quando vengono pronunciate dalla band: è l’assenza di un contorno scontato, di rime baciate baroccheggianti, del melò tragico o engagè. Non c’è melodramma in “Away”, ma solo schegge studiatamente cesellate che si incastrano l’una con l’altra in un mosaico ben definito, coinvolgente e godibile.

Sarebbe stato facile (s)cadere nel folk tradizionale, nella struggente ballad cantautorale o nell’indie-rock confezionato. La banale genialità  degli Okkervil River sta nel coniugare i tratti di vari generi musicali con una personalità  folle e riflessiva e con un creativo e anticonvenzionale desiderio di ricerca. In ogni canzone c’è una svolta, ogni pezzo è una creatura materialmente nuova inondata di un profumo letterario che conquista. Il risultato? Emotività  alta ma non strabordante, sentimenti palpabili ma non esasperati (come in “She Would Look for Me”): i testi delle canzoni sono di quelli da stampare e appendere in camera, la musica è declinata attraverso mille strumenti diversi (dalle campanelle al banjo al flauto, dagli archi ai tamburi africani all’hammond).

“Away” è un fiume di sentimenti tortuosi (come quello del racconto russo da cui il gruppo ha preso il nome) pericolosi ma necessari, semplici ma elevati. Una corrente da inseguire.

Credit Foto: Alexandra Valent