Una piccola recensione in ritardo per un piccolo Ep bijoux.
Una recensione che arriva forse nel momento dell’anno che meglio rappresenta quest’opera, la fine dell’estate(in spagnolo verano), poichè la fine è un rimando costante di quest’album. La fine di che cosa non ci è dato sapere ma una fine sicuramente interpretabile su più disparati piano di significato, la fine di un’epoca della propria vita forse, il momento in cui si devono affrontare da soli le proprie responsabilità . Una maturità  umana raggiungibile solo mediante una maturazione artistica.

Verano è lo pseudonimo dietro il quale si nasconde Anna Viganò, ex chitarrista dell’ Officina della Camomilla che, una volta smessi i camomillosi panni adolescenziali e dopo anni e anni di onorata carriera, ha finalmente trovato il coraggio e forse anche l’incoscienza per cimentarsi in un progetto solista. Una salto nel vuoto, certamente, ma ben calibrato, Anna preferisce cautamente circondarsi con quelle persone a cui il ruolo di musicista va un po’ stretto. Nei suoi confronti, sono e rimangono essenzialmente compagni di vita, gente innanzitutto in grado di capirla e ,di conseguenza, la più qualificata nel supportarla attraverso un sofisticato meccanismo alchemico-psicologico nell’atto della sua espressione musicale. Non facciamoci però trarre in inganno, senza per questo voler sminuire il ruolo, la band non è altro che un seppur necessario espediente inevitabile nell’imbastimento di questo leggerissimo castello dream pop. Verano è e rimane un’ opera estremamente individuale.

Certo saremo falsi se non ammettessimo che una reunion di tre quinti dell’Officina non avesse creato un certo clamore tra noi fan, determinate aspettative, saremmo ipocriti a non interpretare i possibili significati della fine anche in quest’ottica ed è forse proprio questo il motivo per cui attorno a Verano è andato fin da subito condensandosi un gigantesco hype.

Verano è un piccolo album cesellato alla perfezione, è un album estremamente maturo sia sul piano compositivo che su quello prettamente tecnico musicale, malinconico, disilluso, completamente immerso in quell’atmosfera blaser che sarebbe la cornice perfetta per ogni film di Sofia Coppola. In una Milano in bianco e nero l’unica nota di colore a stagliarsi distintamente sono i capelli di Anna, rossi ed emblematici come il giubbottino della ragazzina di Schindler’s List. In attesa di un debutto sulla lunga distanza possiamo ammettere senza troppe remore che l’Italia ha , forse, definitivamente trovato la sua Saint Vincent.