Londra, le quattro e diciotto del mattino. Un quartiere qualunque, palazzi silenziosi abitati da esseri umani come tanti. C’è Jemma con le sue cattive compagnie. Esther e i doppi turni che la sfiancano. Ci sono Alicia e TY che hanno visto troppo, troppo presto. Pete che è a quattordici porte da casa e quando ci arriva è così sballato da non riuscire a infilare la chiave nella toppa. Bradley: giovane, buon lavoro, single su Tinder, vuoto dentro. Zoe sfrattata dopo che il padrone di casa ha triplicato l’affitto, pronta a lasciare un quartiere che non riconosce più. Ci sono Pious e Rose che si sono trovate solo per una notte. La pioggia improvvisa li unisce per un momento di cui domani resterà  solo un lontano ricordo. Ci sono i capoufficio che allungano le mani, gli immigrati e i poliziotti che ammazzano i ragazzi in Inghilterra come altrove. A far da sfondo un’Europa che s’è persa, in cerca d’autore.

Questo è il claustrofobico caos di Kate Tempest. Rapper non convenzionale, scrittrice, cresciuta a pane e Wu Tang Clan con Blake e Shakespeare come secondo. Artista a tutto tondo che si è cimentata col teatro, con la poesia, che usa le parole per denunciare, per capire, per indignarsi (come lei forse solo la M.I.A. dei tempi migliori). Torna con un album, il terzo, che in realtà  è un lungo racconto diviso in tredici parti. Vivido, a tratti brutale, con versi essenziali che si innestano su arrangiamenti distorti e ritmi minimali che fanno muovere i neuroni e il sedere anche a chi non vuole sentire. Qualche anno fa c’erano stati i ventenni di “Everybody Down” (tornati di prepotenza riveduti e corretti in un bel racconto chiamato “The Bricks That Built The Houses”). Ora la scena è tutta per una nuova generazione condannata a vedere il mondo da una Londra – fortezza, gli occhi stranamente calmi mentre fuori infuria il rumore della rivolta.

Ascoltando “Let Them Eat Chaos” vengono in mente i PiL e il loro “Metal Box”, i Wu Tang Clan e i Public Enemy per la potenza delle immagini e la forza delle parole pesanti come macigni che Kate Tempest mette in pista. Howard Zinn sosteneva che la storia si racconta parlando delle persone comuni ed è proprio quello che fa Kate Calvert, in arte Tempest. I suoi personaggi non sono reali ma potrebbero benissimo esserlo. E il mondo di oggi lo raccontano meglio di tante dotte disquisizioni.

Credit Foto: Martin Schumann / Wikipedia [CC BY-SA 4.0], via Wikimedia Commons