Ci sono le band che ami e quelle che odi. E poi ci sono i Lambchop, che fanno scelte stilistiche e musicali tutte loro e vanno affrontati con un punto interrogativo a fianco senza mai sapere cosa aspettarsi (anche l’emoticon con gli occhi sbarrati e l’espressione corrucciata va più che bene). La creatura di Kurt Wagner, chitarrista e unico membro originario della line up, ha cambiato così tante volte pelle e direzione dal country targato Nashville di metà  anni novanta, che spiccava in “I Hope You’re Sitting Down” e “How I Quit Smoking”, da far girare la testa anche ai fan più fedeli. A quelli, per capirci, che sperano che Wagner ritrovi la vena creativa da menestrello introverso, ironico col falsetto incorporato e tiri fuori un’altra “Under The Same Moon” o “Hickey” dal cappello che allora era da cowboy e oggi da baseball. Ma anche a quelli che non disprezzano le evoluzioni successive, i Lambchop più pop dei primi anni duemila capaci di sfornare album controversi (“Is A Woman”) e di raggiungere un inaspettato successo di critica con “Nixon”.

Purtroppo Wagner di recente ha deciso di esplorare altri lidi, con risultati inquietanti. La sua passione, ormai da tempo, è un certo tipo di musica lounge, ai confini dell’ambient. In “FLOTUS” ovvero “For Love Often Turns Us Still” riprende con aspirazioni ambiziose il discorso interrotto in un EP di nome “CoLAB” realizzato con il duo di musicisti elettronici Hands Off Cuba qualche anno fa. A quanto pare Kurt Wagner ha scoperto il sintetizzatore, il processore vocale e l’autotune con cui si avventura in territori finora inediti ma non così sorprendenti per chi aveva avuto il barbaro coraggio di ascoltare un suo side project chiamato HeCTA nel 2015. Peccato che le ambizioni stavolta restino sulla carta e che “FLOTUS” fatichi tremendamente a decollare perdendosi in canzoni che uniscono elettronica, note sparse di piano, fiati e synth senza mai convincere sul serio.

Il falsetto wagneriano è ormai un lontano ricordo, bisogna accontentarsi della voce geneticamente modificata di “Harbor Country”. In “Writer” Kurt Wagner sembra ritrovare per un attimo la forma perduta ma è troppo poco, troppo tardi. Cosa resterà  di “FLOTUS”? Difficile dirlo perchè è un curioso esperimento in teoria, un disco veramente debole nei fatti. E alla fine suona anche meno imbarazzante di quanto avrebbe potuto essere visto che Wagner ha dichiarato di aver tratto ispirazione dagli Shabazz Palaces, da Frank Ocean e Kendrick Lamar (senza arrivare a cimentarsi col rap per fortuna). L’ultimo dei Lambchop è in realtà  la guilty pleasure di Kurt Wagner, un’avventura realizzata in splendida solitudine che forse voleva essere scherzosa o divertente ma somiglia tremendamente a un passo falso.

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