Se ve lo foste chiesto negli ultimi mesi: sì, siamo nel 2016 e siamo nell’anno di Donald Glover.
Perchè, di nuovo sì, dove un tempo ci piazzavamo un enorme potenziale inespresso, oggi troviamo una piena espressione delle proprie, sconfinate, potenzialità .

Andiamo con calma.
Chi è Donald Glover e cosa ci racconta la sua storia: parliamo prima di tutto di un commediografo, un narratore che si è fatto conoscere al grande pubblico per aver posto la propria firma su una manciata di episodi di 30 Rock e sopratutto per aver interpretato il ruolo di Troy in quel piccolo gioiellino comico, osannato dal web, chiamato Community.

Come un supereroe però Donald non si ferma mai e “di notte” veste i panni di Childish Gambino (che altro non è che un frutto dell’alogritmo alla base di un generatore automatico di nomi del Wu-Tang Clan), rapper, autore di musica, ancora, narratore.

L’incipit è bello promettente, e sembra aprire ad una storia a cui ci si può veramente affezionare; il problema, fino a qualche mese fa, era, banalmente, la realizzazione. Il contributo nel mondo della serialità  era di qualità  ma, relativamente contenuto; contestualmente i primi due album pubblicati con il moniker Childish Gambino, “Camp” e “because the internet”, mostravano un talento decisamente acerbo, un flow non proprio freschissimo accompagnato da un mix confusionario di influenze e stili su un’ammiccantissima, e stanchissima, base trap.

Poi, arriva l’autunno 2016 ed esce Atlanta, ovvero il primo lavoro autonomo e seriale di Donald Glover: una dramedy ambientata nei sobborghi della città  americana che racconta la storia di un ragazzo (lo stesso Glover) che decide di occuparsi del management del cugino rapper. Tutto il racconto è un pretesto per fornire un’immagine nitida e critica della cultura americana, dei nigga, dei fruitori bianchi della musica nigga, della stereotipizzazione sociale. E per me è serie dell’anno.

Ma siamo pur sempre all’interno di una recensione di musica e di quella dobbiamo limitiarci a parlare per ora. Quindi, 2016 anno di Donald Glover per Atlanta e basta, no? No.
Perchè il nostro caro Donald pare sia entrato in una cabina telefonica e abbia indossato di nuovo i panni del supereroe-rapper Childish Gambino per pubblicare il suo terzo LP, “Awaken, My Love!”

E quando parte play ci si sente spaesati e, sì sì, il 2016 è proprio l’anno di Donald Glover.
Da qualche parte nel web ho letto un articolo che recitava, nel proprio titolo, in inglese, parlando di questo album, più o meno così “cosa succede quando un rapper pubblica un album che non contiene alcunchè di rap?”
Di base, succede che finiamo per ascoltare un album che non è catalogabile come rap, nient’altro.
Uniamo i puntini: la domanda citata appena sopra si riferiva proprio a Childish Gambino ed “Awaken, My Love!” non è, assolutamente un album rap. La cosa è abbastanza sorprendente, se ci pensiamo: parliamo di un’artista che ha pubblicato solo LP e mixtape inseribili nel genere (anche se l’ultima fatica, “Kauai”, lasciava già  intravedere un cambiamento di rotta). Aggiungiamoci poi il background a cui attinge Atlanta ed il quadro è completo. Addirittura, uno dei suoi primi mixtape si chiama proprio “I Am Just a Rapper”.
Invece, dopo il primo ascolto ci troviamo di fronte ad un’opera funk e psichedelica e ci parte la vocina in falsetto di Donald-trollone che ci sussurra “Ma come prima scrivi che la mia narrativa è, prima di tutto, una grandissima critica allo stereotipo sociale e poi ti aspetti del rap da me solo perchè, semplicemente, mi hai catalogato come rapper?”
Imbarazzo.

Comunque, concentriamoci sulla musica e partiamo dai giudizi categorici ed assoluti: “Awaken, My Soul!” è bello. A tratti antico ma mai didascalico. Caldo e gioioso.

Un track by track sarebbe inutile perchè, diciamocelo, integra un schema troppo rigido; il lavoro, nella sua completezza vive di temi, suoni, parole che ricorrono e si ripetono di canzone in canzone.

Il beat: in altre parole, il motore che ci trasporta da “because the internet” a “Awaken, My Love!”. Se infatti nel lavoro precedente la cassa era dritta, assordante, vorace (prendete il primo brano, “Crawl”) qui si ovatta, perde massa ed assume calore e classe. Il beat in apertura della suite “Me and Your Mama” è un ponte ideale tra le sonorità  passate e la nuova veste funky e 70’s; ci accoglie nei primi secondi dell’album e non ci lascia più. E se, in precedenza, le contaminazioni apparivano dissonanti e quasi sacrileghe qui scivolano abbracciate a completarsi; tanto che noi non le percepiamo neppure al primo ascolto, per quanto queste si ripropongano praticamente in tutti i brani ( in”Zombies”, “Redbone”, “Terrified” e nella conclusiva “Stand All”, per citarne alcuni).

Il riff: una chitarra sensuale che lacera e ferisce. Di nuovo, si snoda dalla cuffia già  dalla prima, “Me And Your Mama”, straziante ed acida, e non ci lascia più. A volte è languida, come in “Zombies”. A volte è galoppante (“Boogieman”). A volte è incredibilmente surfy, e sarebbe stato strano il contrario visto che ci troviamo in “California”. A volte è contraddittoria, come nella splendida “Redbone”, traccia migliore di tutto il lotto per quella che è la mia umilissima opinione, in cui prima è tutta un occhialino pacato e poi impenna in un epica chiusura che mi ha ricordato un po’ le aspettative, tradite, che riponevo per “Currents” dei Tame Impala. Quale sia la forma che assume il riff, il risultato è sempre incredibilmente rassicurante e, contestualmente, mostruosamente a fuoco.

Il gospel: “Awake, My Love!” è una celebrazione già  solo a leggerne il titolo. Una di quelle afroamericane con il coro perchè per quanto Donald Glover si possa impegnare noi rimaniamo infarciti di stereotipi. Attorno al binomio “Boogieman” e “Riot” si costruisce una festa luminosa, di speranza in cui i protagonisti sono le voci, di Glover e del coro, che si alternano e dialogano. Con, a rimorchi,o gli elementi di cui sopra ed un piano che fluttua da qualche parte sullo sfondo. Attraverso i suoni, riuscirete a ricostruire solo immagini di persone che si sbracciano, illuminate dalla luce solare che filtra da una grossa finestra e riflette sui muri, che ovviamente sono tutti bianchi.

L’inevitabilità : uno dei temi portanti della narattiva nell’album ci racconta di un senso indefinito di immanenza, avvertita da Glover. Pare che ci sia qualcosa, che è bene tenere nascoto ma che, inevitabilmente verrà  scoperto: il tema che viene ripetuto più e più volte, è un mantra che diviene esplicito nel ritornello di “Zombies”, cantato da Kari Faux “We’re coming out to get you” con Gambino a rimorchio “You will find there is no safe place to hide”. Il senso di accerchiamento è il contraltare del funk e dela psichedelia, come un viaggio, una festa, sotto una coperta. Appropriandoci delle parole dello stesso Glover , che potete trovare nella sua chiacchireata con Billboard, “I remember hearing a Funkadelic scream and being like, “‘Wow, that’s sexual and it’s scary.’

Mama: “Awaken, My Love!” è anche il racconto della maternità  e della fertilità . E’ il dialogo con un bambino ed è l’evoluzione narrativa di una Mama che è ben definita e, contemporaneamente, oscura. A suo modo è tribale, sacra e, nonostante tutto, contestualizzata nel proprio tempo. Come l’esoterismo al neon dell’artwork. Il tema primo dell’album è quindi l’eredità , che passa da padre in figlio, nella vita, come nel funk che si sposa al beat del ventunesimo secolo.

Quante righe sono passate dall’ultima vota che si è ricordato che il 2016 è l’anno di Donald Glover? No, perchè è semplicemente così. O meglio, l’impressione finale è proprio quella di estremo compimento, di una svolta decisiva. Come Atlanta è un gioiello della serialità , così “Awaken, My Love!” è un LP profondo, sorprendente, emozionante. E’ esattamente quello che serviva a Childish Gambino per assumere una piena autonomia artistica e non quell’eco posticcio che si genera ogni volta che un creativo si sposta da un’arte all’altra. Senza timore di giudicare avventato, siamo di fronte ad uno dei migliori album di questo anno; tra i commenti di Facebook, sotto l’immagine, lo scatto, condiviso da Glover stesso per annunciare l’imminente uscita di “Awaken My Love” il commento con più “mi piace” recita “the only Donald we need”. E non si può far altro che essere d’accordo.