Paraculo.
Il termine che rimbalza tra le tempie mentre si ascolta “Woman” dei Justice è, esattamente, paraculo. Ma non in quella maniera a suo modo edificante della musica pop che si esprime al proprio meglio: piuttosto, vuoto e cerchiobottista come i dibattiti politici della domenica pomeriggio in quel di Domenica In (esiste ancora?).

Ma andiamo per gradi.
Nel 2007, dopo una manciata di remix di successo, Gaspard Augè e Xavier de Rosnay pubblicano il loro primo LP, conosciuto ai più come “Cross”: un lavoro cattivo e tamarro che mischia beat ed heavy-metal in un insolito connubio di borchie e coolness. L’asticella era fissata abbastanza in alto e si sprecavano i paragoni illustri (che poi io non ho mai capito perchè si parlava di nuovi Daft Punk, considerato che in comune c’è solo la provenienza geografica).
Quattro anni dopo esce “Audio, Video, Disco” lavoro prescindibilissimo, viziato da una retorica anni ’80, praticamente scolastica.

Ecco, personalmente ho sempre considerato “Audio, Video, Disco” un passo indietro nella carriera dei Justice ed aspettavo questo “Woman” proprio nella speranza che le derive anni ’80 e disco-music fossero circoscritte a quel periodo ben preciso della loro carriera.
Purtroppo già  dal primo singolo “Safe and Sound” è apparso chiaro come il percorso del duo francese avesse, ed abbia, preso ormai una direzione ben precisa.
Il giochetto è molto semplice: prendete il basso slappato che sentite in chiusura di “DVNO”, spingetelo fino al suo estremo, aggiungete le vocine di “D.A.N.C.E.”, pensate a quanti archi ci vedreste bene lì in mezzo e moltiplicateli per due. Tutto qui. Un miscuglio di dance-music e 80’s ammiccante e vuoto. Piacevole e prescindibile.

Il giochino qui sopra poi potreste estenderlo al resto dell’album: brani come “Pleasure”, “Love S.O.S” o l’insopportabile “Fire” sono solo variazioni del tema dance, in cui si sovrappongono le stesse linee di synth, gli stessi bassi, a riproporre di volta in volta la stessa, insipida, ricetta.
Il risultato è quello di un ascolto che, nella sua compattezza, risulta anonimo ed in cui le canzoni finiscono per sovrapporsi e confondersi tra di loro.

Un discorso a parte però va fatto per gli altri due singoli di lancio, con “Safe and Sound”, ossia “Alakazam !” e “Randy”.
A parer mio, per quanto entrambi i brani si inseriscano appieno in quello che è il mood di “Woman”, queste due canzoni sono gli unici, flebilissimi, punti di contatto con le sonorità  di “Cross”.
“Alakazam !”, per esempio, mi aveva lasciato qualche, vana, speranza al primo ascolto; seppur, infatti, l’architrave su cui si basa tutto il brano si snoda in una linea di bassi e filtri ripetitiva e senza mordente, c’è quell’impennata di synth centrale, che si ripropone poi a tre quarti ed in chiusura, che gocciola incazzatura, epicità  e pacchianeria e mi riporta, per qualche istante all’esplosione di tamarria di “Phantom pt. II” ed al catartico organo di “Water of Nazareth”. Un istante, che nella sua insignificanza trasuda nostalgia e catalizza i rimpianti.

Poi “Randy” che quanto fa male: lo yin e lo yang della produzione dei Justice. Sullo sfondo la cassa dritta e cattiva, che in apertura ti travolge e ti sconvolge ma poi cede al passo alla più insorpottabile e sculettante ritmo dance. Un brano che è sintesi di una carriera intera.

Più passa il tempo più cerco di essere professionale nelle mie recensioni (per quanto questa una professione non sia) e di lasciar meno spazio di manovra possibile alla mia pancia. Ma la verità  è che scrivo come scriverebbe qualsiasi fan deluso. Perchè “Woman” è esattamente il perfetto compimento di “Audio, Video, Disco”, quindi, in altre parole, è esattamente il compimento dell’incubo di molti di noi.
La ricerca di una perfezione stilistica, retrò e retorica, svuotata di qualsiasi contenuto.
Che poi, l’evoluzione stilistica non è un male in se,: tutt’altro, lo diventa quando non si basa su un solido costrutto.
“Woman”, come lo era “Audio, Video, Disco” è un album che suona bene ma, contestualmente, non parla di nulla: una raccolta di sonorità  dance che vive e muore nei tre minuti di quell’ascolto. Senza nessuna pretesa di andare oltre.
Insomma, tutto molto bello ma chi se lo ascolterà  tra un paio di mesi?