Posizioni: I MIGLIORI 50 DISCHI DEL 2016 [ #26 / #1 ]

#50) WEAVES
Weaves

[Memphis Industries]

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Vi sfido a rimanere seduti o sdraiati dove siete, una volta premuto start. Eclettismo e un pizzico di follia la fanno da padroni, in questo strabiliante debutto dei canadesi Weaves. Hanno tutto quello che serve: presenza scenica, una cantante che da sola tiene sul palmo platee intere e musicisti di qualitá incredibile. Una delle scoperte piຠbelle dell’anno.
(Marco Lorenzi)

#49) GAIKA
Security

[MIxpakl]

Forse è vero che il mixtape precedente, Machine, era una novità  assoluta ed il recente ep Spaghetto, prima uscita ufficiale su Warp, contiene tutta la poetica, black ed industriale, quasi cyber-punk, del giovane Gaika: ma questo secondo lavoro Security è così meravigliosamente dopato e sensuale, così ambiziosamente ed insieme genuinamente imperfetto che non riesco assolutamente a smettere di ascoltarlo.
(Nicolò “Ghemison” Arpinati)

#48) A. DYJECINSKI
The Valley Of Yessiree
[Sideways Saloon]

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“The valley of Yessiree” è l’official in solitaria del cantautore A.Dyjecinski, artista che nel minimalismo nuota a piacimento, un senso grave e oscuro di poetica nuda e cruda che a suo mondo irretisce, nebbie e pensieri fitti a roteare come un rimuginare ossesso, da anima in pena, un disco pieno di spettri, vetri rotti ed echi ancestrali che condividono e si spartiscono una tracklist tutta da abbracciare, completamente da amare teneramente.
(Max Sannella)

#47) BARBARISMS
Browser
[A Modest Proposal Records]

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è rinfrancante sentire un disco che sembra suonato prima per sè e poi per gli altri; senza nessuna ambizione di essere qualcosa di diverso da quello che si è: sembra riduttivo dire questo, ma non è così. Per dirla con una parola, i Barbarisms sono slacker per indole, musicisti perchè è quello che sanno fare bene.
( Sara Marzullo )

#46) AMERICAN FOOTBALL
American Football (LP2)

[Polyvinyl / Wichita]

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Ero incerto se portare in classifica “The King Of Whys” di Mike Kinsella solista, aka Owen, che pure avrebbe meritato le luci della ribalta. Non ci ho messo molto, peró, a capire che American Football, LP2, è ““ nel mio cuore ““ uno dei dischi dell’anno. Dopo 17 anni di attesa, la nicchia di fans di questi progenitori dell’indie/emo si attendeva fuochi d’artificio. Ne è uscito un disco suonato in maniera subline e intriso di quella maturitá che si raggiunge una volta (abbondantemente) superata la gioventຠanagrafica. Impossibile non innamorarsene.
( Marco Lorenzi )

#45) GOLD PANDA
Good Luck and Do Your Best
[City Slang]
L’ennesima prova di forza di uno dei produttori elettronici più prolifici e ricercati degli ultimi anni, una sicurezza.
( Matteo Mastracci )


#44) CASS MCCOMBS
Mangy Love

[Anti]

L’ottava fatica del cantautore è una perla, forse ancora poco conosciuta in Italia, che merita un ascolto attento. I clichè del folk targato USA sono scardinati e bagnati da una lieve psichedelia, il disco presenta anche dei temi politici molto accesi, e nel complesso è come un bellissimo palazzo tutto da scoprire, stanza per stanza: non abbiate paura a chiudervi anche nei bagni di “Mangy Love”.
(Gianluigi Marsibilio)

#43) PEDER MANNERFELT
Controlling Body
[Peder Mannerfelt Produktion]

Lo svedese risulta vario utilizzando anche una sola nota, dove il dilatarsi non ci lascia in sospeso ma garantisce un viaggio ben preciso. I cori lontani, il delay e quella sensazione di inadeguatezza tranquilla, senza rancore o panico.(Stefano D’Elia)

(Alessandro Ferri)

#42) MICHEAL KIWANUKA
Love & Hate
[Polydor]

Il mio battesimo Soul avuto con I Commitments ha installato in me una forte passione per questo genere musicale, soprattutto quello British. Già  da diversi anni il Soul sta cercando di incamerare in una grossa valigia, fatta con materiale Motown, influssi da altri generi vicini. Il risultato a volte è pazzesco, a volte è forzato e patinato. Kiwanuka aveva fuso la sua natura Black con il folk inglese contemporaneo con risultati eccellenti. In Love & Hate ritorna sui suoi passi e lo fa con una personalità  che non ha niente da invidiare ai grandi padri del Soul come Gaye, Hayes, Havens.
(Angelo “The Waiter” Soria)

#41) SHURA
Nothing’s Real

[Polydor]

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Mainstream, edulcorato, adolescenziale, guilty pleasure, aggiungete pure tutti i dispregiativi che volete. Questo disco di esordio di una ragazza di Manchester con la passione per il pop colorato, gommoso, dai testi che sembrano il diario di una teenager è rimasto in heavy rotation nelle mie cuffie più di qualunque altro. La produzione pressochè perfetta strizza spesso l’occhio alla disco anni “’80. Per Alexandra, nata nel 1991, è soltanto il mezzo per esprimere come ci sente ad avere 20 anni nel 2016.
(Francesco “dhinus” Negri)

#40) BEACH SLANG
A Loud Bash Of Teenage Feelings
[Polyvinyl / Big Scary Monsters]

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Posto d’onore per una band che sento un po’ “mia”. Punk/Rock semplice semplice, chitarre in prima fila e liriche che mi ricordano l’inquietudine e l’incertezza dei miei 15 anni. Beach Slang sono stati la mia infatuazione (musicale) più forte in questo 2016 e per qualità  in studio e dal vivo mi hanno letteralmente spiazzato. Un pugno al cuore, per davvero.
(Marco Lorenzi)

#39) SOLANGE
A Seat at the Table
[ Saint / Columbia]

Le possibilità  che due sorelle scrivano due buoni dischi nello stesso anno non sono poi molte, che ne scrivano due eccellenti, non proprio è dato, ma Solange e Beyoncè sono delle fuori classe. Warshan Shire, già  citata in “Lemonade”, scrive: To my daughter I will say, when men come, set yourself on fire.
(Sara Marzullo)

#38) HOPE SANDOVAL & THE WARM INVENTIONS
Until The Hunter
[Tendril Tales]

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Le coordinate sono le stesse battute da sempre dalla ex voce degli indimenticabili Mazzy Star, la quale si muove languida attraverso melodie suadenti e ricche di sensuali inquietudini(“A wonderful seed”) e spettrali mantra (l’iniziale “Into the trees”), passando per vie meno consone per il duo come nel featuring con Kurt Vile, dialogo ben riuscito e vagamente Wilchiano nelle trame chitarristiche.
“Until the Hunter” ci restituisce una indiscussa protagonista della musica alternativa attuale, in pienissima forma e capace ancora una volta di sedurci e turbarci con la magia della sua voce senza tempo.
(Stefano D’Elia)

#37) BOB MOULD
Patch The Sky

[Merge]

Fa quasi sorridere pensare che Bob Mould possa aver raggiunto la sua maturità  artistica dopo la bellezza di 11 dell’era post Husker Du. In pratica ci vorrebbero due vite normali per fare tutto quello che Bob ha fatto in una metà . Ma qui Mould torna ad essere quello che conoscevamo ai tempi di Copper Blue. Un disco carico, veloce, che va dritto al core (volutamente senza la “U”), il nucleo del discorso. Lo stampo di fabbirca è quello, non c’è quasi nulla da scoprire. Ma in un mondo che si attorciglia in ghirigori elettronici per scoprire la diversità  ecco che ti arriva un Bob Mould con il suo sound pane e salame e sbaraglia (quasi) tutta la concorrenza. Ascoltato alla nausea, sfiora la perfezione.
(Bruno DeRivo)

#36) PREOCCUPATIONS
Preoccupations

[Flemish Eye/Jagjuwar]

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Per una questione diciamo “strutturale”, il suono dei Preoccupations, coi suoi impliciti rimandi e cruci incroci a base di Interpol, Sonic Youth, Wire, This Heat, feel indie canadese e rumorismi distopici assortiti, nel 2016 non potrà  mai essere così “hype”. Troppo eleganti per i “mostri” del rock alternativo a ridosso del noise, troppo mostruosi per quegli alfieri di un suono indie nella sua variante più oscura e fredda.
Sarà  per questo che qualcuno li ha definiti “post-punk antagonists”. E a noi piacciono esattamente (ma non solo) proprio per questo loro stare ai margini, nel loro affascinante limbo post-apocalittico.
(Luca “Dustman” Morello)

#35) ANDY SHAUF
The Party

[Anti]

Il cantautore di Regina, città  canadese del Saskatchewan non lontana dal confine statunitense, ci racconta di una festa attraverso i suoi personaggi: c’è quello che arriva sempre in anticipo (Early To The Party), quella che balla da sola (Eyes Of Them All), l’amico che si lamenta (Begin Again) e la sconosciuta con cui ci si ritrova a ballare a fine serata (Martha Sways). Una sorta di “concept album” raffinatissimo, a cavallo tra un pop dalle influenze beatlesiane e il folk del nordeuropa, con qualche”spruzzata” di jazz che non guasta mai.
Un disco davvero bellissimo, che purtroppo non ha avuto tutta l’attenzione che meritava: ma voi avete ancora il tempo per remediare.
(Vieri Santucci di “Triste Sunset”)

#34) BABYFATHER
BBF Hosted By DJ Escrow

[Hyperdub]

Dean Blunt è il nome da scrivere su Google quando non sapete che fare, e volete leggere interviste intelligenti. Se invece non avete voglia di leggere, ascoltate la frammentazione più riuscita dell’anno; una realtà  al di sopra della verità , che come ben sapete non esiste.
(Alessandro Ferri)

#33) LAURA GIBSON
Empire Builder
[Barsuk]

Sono passati 50 anni da quando Jack Kerouac attraversava gli Stati Uniti su treni merci lenti e sferraglianti, eppure c’è ancora un treno che a bassa velocità  unisce le due coste, si chiama Empire Builder e impiega 46 ore a raggiungere Chicago da Portland. Laura Gibson questo treno l’ha preso, ed è stato il punto di partenza di un viaggio personale ma anche musicale, che ai poeti del beat sarebbe piaciuto molto. Perchè anche nel 2016 bastano una chitarra, un pianoforte e la pazienza di aspettare che la vita ci porti lontano.
(Francesco “dhinus” Negri)

#32) CARLA DAL FORNO
What you gonna do now
[Blackest ever black]

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Scuro, profondo, introspettivo, un album che è capace di raccontare una storia personale oltre il solito punto di vista convenzionale.
(Matteo Mastracci)

#31) HATE & MERDA
La Capitale del Male

[-]

“Il male non ha una capitale, e se ce l’ha risiede in fondo a noi stessi. Perchè il male serve, serve anche il male”. Resiste da gennaio in vetta, gli Hate & Merda, eccome se servono.
(Alessandro Ferri)

#30) HINDS
Leave Me Alone

[Mom + Pop / Lucky Number]

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Un album d’esordio pazzesco per le 4 ragazze madrilene, garage rock leggero che strizza l’occhio al pop ma non esclude per questo momenti di pura follia punk.
(Marco Beltramelli)

#29) AA. VV.
Save Fabric Album
[Fabric]

μ-Ziq, Clark, Cosmin TRG, Curses, Dj Tennis, Fake Blood, Jesse Rose, John Tejada, M.A.N.D.Y., Marc Houle, Mathew Jonson, Nathan Fake, Om Unit, Roman Flugel, Simian Mobile Disco, Throwing Snow, tutti assieme appassionatamente per una buona causa, serve altro?
(Matteo Mastracci)

#28) AUTECHRE
elseq 1-5

[Warp]

Non ero riuscito mai, precedentemente, ad entrare dentro le opere degli Autechre così intensamente, in maniera così totalizzante come è invece accaduto per i cinque ep che vanno a comporre elseq, nonostante questi ultimi possano forse dirsi l’approdo più avanzato di una poetica proseguita nel tempo, quasi dagli esordi. Le cinque facce di elseq riescono a contenere i temi cari ai due inglesi, dall’incomunicabilità  all’intelligenza artificiale, dai suoni autogenerati alle geometrie cubiste, e a tradurli in un suono che, incomprensibilmente (ma non poteva essere altrimenti), è forse il più caldo, il più accogliente di tutta la discografia firmata Autechre: una specie di jazz-dub industriale completamente suonato da meccanismi automatizzati. Non solo il disco dell’anno 2016, ma pure quello dei prossimi millenni.
(Nicolò “Ghemison” Arpinati)

#27) WEYES BLOOD
Front Row Seat To Earth

[Mexican Summer]

Natalie Mering, con la sua voce sublime e personalissima, ci regala, in un trionfo di emotività  e razionalità , otto brani (+1) intrisi di struggente bellezza, percorsi da armonie spettrali e ricercate, fragili e onesti eppure vigorosi e risoluti. Definitivamente approdata al mainstream Weyes Blood entra di diritto, con questo album, tra le più grandi e autorevoli voci del nuovo millennio.
(Francesco Amoroso de “L’Attimo Fuggente”)

#26) SAVAGES
Adore Life

[Matador]

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La cosa più incredibile del secondo disco del quartetto londinese è l’energia che trasuda da ogni nota, ogni riff, fino al pugno chiuso della copertina. è un’estetica chiara, potente, che non è solo forma ma anche sostanza. La seconda cosa incredibile è la passione con cui non solo la musica ma anche i testi sprigionano una irrefrenabile passione vitale. “Adore Life” non è un disco che si fa scoprire poco a poco. Anche se sa quando rallentare i ritmi e suonare suadente, rimane un cazzotto in pieno volto che ti stende e ti lascia senza fiato. Colpo da KO.
Francesco “dhinus” Negri)

Posizioni: I MIGLIORI 50 DISCHI DEL 2016 [ #25 / #1 ]