I Minor Victories sono stati una delle migliori sorprese del 2016 appena trascorso. Rachel Goswell, Stuart Braithwaite, Justin Lockey e James Lockey sono riusciti a creare un perfetto equilibrio tra il sound delle rispettive band di provenienza (Slowdive, Mogwai, Editors) e quel qualcosa di nuovo dato da una collaborazione inaspettata. “Minor Victories” sembrava e per molti versi era un disco perfetto, fatto non solo di tecnica sopraffina ma di emozioni e atmosfere brillanti. La perfezione però non è mai abbastanza se a cercare di raggiungerla sono dei perfezionisti come i Minor Victories. Che, ad appena qualche mese di distanza, quel disco d’esordio lo riprendono in mano e ne fanno una nuova versione, tutta strumentale e orchestrale. Con l’ordine delle canzoni volutamente stravolto, violoncelli e violini che prendono il posto delle chitarre. Non un remix, come ci ha tenuto a sottolineare Justin Lockey, ma un modo alternativo di vedere e sentire le cose.

Riportandole all’origine. A quando i dieci pezzi di “Minor Victories” erano solo melodie, motivi primitivi che s’infilavano nella testa prendendo spesso la forma di un arrangiamento d’archi o di una nota di piano. Ridurre tutto all’osso, spogliare, separare ogni singola parte e poi ricomporre il quadro. Finendo per creare un disco nuovo, diverso, più dark e intenso di “Minor Victories”. Meno intriso di quella speranza, di quella leggerezza che la voce di Rachel Goswell dona alle canzoni, quasi senza sforzo. Ma non privo di dolcezza. Capita così che la nuova versione di “Give Up The Ghost” abbia un andamento giocoso che ricorda Yann Tiersen e “Il Favoloso Mondo di Amelie”, che “Breaking My Light” e “A Hundred Ropes” si vestano di toni tesi e drammatici. Che “The Thief” e “Higher Hopes” acquistino un’eleganza regale. Che di “Scattered Ashes”, “Folk Arp” e “Out To Sea” rimanga solo la melodia più basilare. “For You Always” colpisce più delle altre, passando dal fiume di parole riversato da Mark Kozelek in quel duetto con Rachel Goswell a un silenzio quasi assoluto, accompagnato dal piano e dal rumore di una traccia vocale appena accennata.

“Orchestral Variations” è un esperimento coraggioso e interessante. Perchè ce ne vuole di coraggio a far sentire queste canzoni nude, senza filtri, senza sovra incisioni. Un disco diverso sul serio, che poco ha in comune con il primo. Se “Minor Victories” era frutto della collaborazione paritaria di cervelli musicali di prim’ordine, “Orchestral Variations” è invece una creazione di Justin Lockey che l’ha orchestrato e prodotto. Con James che si riscopre ancora una volta filmaker per firmare i video che accompagnano quest’avventura musicale (splendido quello tormentato dal rimorso di “Cogs”). “Orchestral Variations” è l’altra faccia della medaglia, meno shoegaze e più vicino all’esperienza elegante e rigorosa di compositori come Philip Glass o Arvo Pärt e ai Mogwai versione “Atomic” o “Les Revenants”. C’è da scommetterci, verrà  ampiamente saccheggiato da serie televisive e film di ogni ordine e grado. Perchè sembra, stavolta si, una lunga colonna sonora. Di quelle epiche.