Sono passati circa sedici anni da quando una band mancuniana che definiva la propria musica “Progressive senza assoli” pubblicava quel piccolo gioiello ricco di inquietudine e paranoia intitolato “Asleep in the back”, da allora Guy Garvey e compagni di strada ne hanno fatta tantissima, arrivando oggi ad essere tra le più influenti bands britanniche in circolazione.
Qualche difficoltà  (Garvey che il giorno prima della registrazione “A cast of thousand” smarrisce in metropolitana l’agenda con i testi dell’album, costringendolo a riscrivere tutto daccapo) e qualche passaggio a vuoto (il non esaltante “Built a rocket boy”) non hanno minimamente scalfito la credibilità  che il gruppo è riuscito a costruirsi in questo lungo lasso di tempo, periodo in cui gli Elbow hanno gradualmente affinato la loro raffinata proposta musicale, arricchendola di soluzioni orchestrali via via sempre più rilevanti all’interno dell’economia delle loro composizioni.

Se il precedente “The take off and landing of everything” si inseriva perfettamente nel percorso di crescita finora delineato “Little fictions” rappresenta un parziale passo indietro, i brani contenuti al suo interno sono infatti meno ariosi ed aperti a cambiamenti in corso d’opera, risultando coincisi nel loro andamento e meno complessi sebbene mai scontati.
Così se i ritmi vagamente r’n’b di “Gentle storm” possono lasciare un po’ straniti ci pensano gli archi e le melodie magniloquenti di “Magnificent (she says)” a riportare le cose al loro posto, brani questi che insieme alle aperture jazzistiche della titletrack (derivanti dall’esperienza solista fatta da Gay Garvey nel duemilaquindici con il suo album intitolato “Courting the squall”) rappresentano i punti più interessanti di questo lavoro.

Ci sono dischi che ad un primo ascolto possono sembrare piatti o privi di idee ficcanti, quasi noiosi per alcuni, per un ascoltatore frettoloso “Little fictions” potrebbe rientrare in questa categoria, a costoro io consiglio di dare al settimo lavoro della band di Manchester più di una possibilità : senza nemmeno accorgersene in poco tempo l’incauto e frettoloso ascoltatore di cui sopra si troverà  a cambiare idea e a dare ragione a questi barocchi artigiani del pop, i quali anche questa volta hanno saputo costruire un elegante meccanismo ad orologeria, pronto a scattare al momento giusto se gliene si dà  il tempo.