Stephen Bruner è un vero enfant prodige. E’ dall’età  di 16 anni che è presente ad livelli alti. Giovanissimo viene chiamato dai membri dei Suicidal Tendencies, famosa thrash metal band di Venice Beach, per sostituire al basso Roberto Trujillo, in procinto di passare ai Metallica. Da li la sua carriera da turnista non ha avuto sosta anche se Stephen aka Thundercat, avrebbe deciso ben presto di lasciare il metal per concentrarsi sul black seguendo in qualche modo le orme del padre Ronald Sr, batterista per gente come Diana Ross, The Temptations, Randy Crawford, e Gladys Knight. Dopo aver partecipato ai lavori di Sa-Ra, Kirk Knight, Bilal, Taylor McFerrin, Kimbra, Vic Mensa, la svolta arriva con la chiamata di Erykah Badu, che lo volle ad ogni costo per il suo “New Amerykah Pt. 1: 4th World War” del 2008. Partecipa e inizia a cantare con “Cosmogramma” di Flying Lotus, e in tempi recenti è al basso in due lavori molto chiacchierati in questi ultimi due anni, “The Epic” di Kamasi Washington e sopratutto i pluripremiato “To Pimp A Butterfly” di Kendrick Lamar. Stiamo parlando di un musicista molto amato e ammirato ma quando ha avuto a che fare con la materia prima dei lavori solisti ha sempre convinto poco, con produzioni un po’ acerbi. Da un talento e un musicista ormai navigato come Bruner ci si aspettava qualcosa di più. “Drunk”, il suo terzo album, è finalmente il disco ispirato pa parte di Thundercat. Un lavoro atteso dopo l’hype creato dalla premiere “Show You the Way” che girava da tempo sui principali blog e sui social e che rivelava anche la bellissima copertina ad opera del fotografo Eddie Alcazar.

Prodotto dalla Brainfeeder di Flying Lotus, con le sue 23 tracce “Drunk” è un caleidoscopio di suoni e influenze decifrabili già  al primo ascolto. Ci sia accorge subito di quanto il background del bassista californiano incida nell’evoluzione di “Drunk”; si può riconoscere tranquillamente cinquant’anni di musica nera concertata in poco più di mezz’oretta. Dal jazz al funk, dal r&b alla disco, Thundercat riesce a frullare insieme Zappa, Madlib, Stevie Wonder, Prince, i Funkadelic giusto per citarne alcuni.

“Drunk” è divertente perchè si percepisce che chi lo ha composto si è molto divertito nel produrlo. Caratterizzato da un susseguirsi di ospiti illustri come i compagni di venture Kendrick Lamar ( “Walk on By”), Wiz Khalifa ( “Drink Dat”) e Kamasi Washington ( “Them Changes”), il disco suona grezzo e scanzonato, con il basso di Bruner che traccia diverse traiettorie, versatili e tecnicamente molto virtuose.

Let’s go hard, get drunk, and travel down a rabbit hole è parte del testo dell’intro di “Rabbit Ho” che rivela quello che il lavoro di Thundercat vuole essere; un concept album, un bel viaggio irriverente sotto le ebrezza dell’alcohol, stoned da THC, che sicuramente è stata consumata a gran quantità  durante il parto del disco. “Capitan Stupid” è palesemente un omaggio a Frank Zappa come “Bus in These Streets” sembra uscita dalla penna di un ispirato Brian Wilson in piena fase “Smile”. “Drunk” è uno sguardo nostalgico verso gli anni Novanta della sua infanzia a Los Angeles, vissuti senza troppa tecnologia; It was Dragon Ball Z, a wrist slap bracelet/ Goku fucking ruined me canta in “Tokyo”, ricordando come si stava bene nel mezzo di un paradiso in terra fatto di Anime giapponesi da leggere e video games che portavano via le notti, fonti che hanno evidentemente ispirato parecchio il disco. Non mancano momenti tristi come in “Lava Lamp” forse dedica ad un amico scomparso, cosa che Thundercat aveva già  fatto in passato. Si giunge alla parte finale di “Drunk” con lo special guest dell’amico Pharrell Williams in “The Turn Down” e, con gli ultimi versi che chiudono “DUO”, (“One more glass to go”) si torna nella realtà . Ma per tornare nella “rabbit hole” di “Drunk”, che l’abbiate tra le mani in forma di file, vinile o cd, ci vuole poco.

Credit Press: The1point8