Laura Marling era matura già  al tempo del suo primo album, quando da diciottenne prodigio veniva definita (l’ennesima) erede di Joni Mitchell. Quest’anno è arrivata a quota sei dischi pubblicati in nove anni di attività  e ha solo 27 anni. Viene per forza il sospetto che abbia bruciato qualche tappa e si sia ritrovata di colpo un’adulta fatta e finita. In una canzone dell’ultimo “Semper Femina”, di fronte alla perdita di una persona cara – una delle tante figure femminili raccontate in questo album – la reazione di Laura è di spiazzante disincanto: 25 years, nothing to show for it, nothing of any weight (“Always this way”). Un atteggiamento distaccato da giovane già  grande, controllata, professionale, impeccabile, a volte algida. Come di chi ha sotto controllo anche la disperazione.

Se si ha una vaga familiarità  con la carriera della cantante inglese c’è da essere un po’ confusi. Nel precedente “Short Movie” si era lanciata in una libertà  espressiva mai sperimentata prima, accompagnata per la prima volta da una chitarra elettrica, in un clima di emotività  sciamanica ispirato dalla sua infelice permanenza a Los Angeles e dall’immaginario del guru Alejandro Jodorowsky. Ma “Semper Femina” fa un passo indietro rispetto a un percorso di crescita che a questo punto dovrebbe prevedere almeno una prima sintesi delle esperienze passate. Invece pare che non sia ancora tempo per l’equilibrio tra cuore e testa che la Laura Marling insegnante di yoga (lo è diventata da un paio di anni) ha certamente tra i suoi obiettivi. La bilancia pende di nuovo dalla parte della mente.

C’è da dire però che pescando tra i suoi molti talenti, Laura Marling fa prova anche del dono dell’autoanalisi e non ne fa mistero già  dal titolo “Semper Femina”, parte del verso Varium et mutabile semper femina, cioè è nella natura delle donne essere varie e mutevoli. Come per dire che non c’è da stupirsi se la caccia aperta all’identità  è ancora in corso.
La citazione erudita tratta dall’Eneide di Virgilio è il filtro intellettuale che annuncia un concept al femminile. Una dichiarazione che attraverso lo sguardo sessista a cui siamo spesso abituati suonerebbe come un’ammissione di debolezza. In questo caso invece la mutevolezza è un ventaglio di risorse, è garanzia di versatilità  e abbondanza, di forza dell’universo femminile, che per quanto riguarda l’ambito musicale è qui ampiamente omaggiato. Dai consueti richiami a Joni Mitchell (in “Nouel”) a un’impressione di Cat Power (“Wild Fire”) a una suggestione in stile Chryssie Hynde (“Please pon’t pass me by”). Ma non ci sono solo tracce al femminile. L’eco di Nick Drake pervade “The Valley” e “Nothing not nearly” ricorda moltissimo “Lover you should’ve come over” di Jeff Buckley. Comunque tutto il meglio.