Britpop: Made me fucking angry, così ha sbottato in settimana Thom Yorke, leader dei Radiohead. Il lavoro di Marika Hackman, “I’m Not Your Man”, è l’esempio di come il britpop sia fallito e trasformato in qualcosa di molto più denso, duro e reale.

La Hackman è al secondo disco, ma la sua è una personalità  complessa che alimenta un disco da oltre un’ora, ricco di pezzi con testi versatili, colmi di spunti e audacia. Il suo è un sound molto vicino all’alt-folk con delle influenze pop: tutto questo cuoce su una brace sempre accesa nel disco, la sessualità . L’amore è trattato con leggerezza, anche se da una voce propensa al grunge e dai tocchi di chitarra estremamente metallici.

La gola sprigiona dei rombi: It’s fine ‘cause I am just a girl/It doesn’t count, in un’intervista ha dichiarato di non trovare spazio per il pudore e effettivamente tutto questo si nota, è palese. A disinibirla sono state le sue profonde paure, trasformate in un coraggio lancinante che in “I’m Not Your Man” trova una massima esibizione di bellezza.

Il disco mi fa venire in mente delle incazzature ironiche, ma ugualmente piene di collera, non c’è odio ma strafottenza e musicalità  di grida, strepitii e graffi.
In uno dei pezzi chiave dell’album racconta:  ‘Cause I’m a greedy pig I’m gonna get my fill I’m gonna keep my eyes on the prize And I’ll suck you dry, I will. La sua rabbia, il suo dimenarsi in una dimensione sonora è famelico, pieno di vita, pieno di talento.

La scrittura dell’artista sembra benedetta da PJ Harvey, nonostante lo slancio più poppeggiante ricordi Fiona Apple o Natalie Imbruglia.
C’è spazio nel lavoro anche per una canzone d’amore come Violet, bellissima dedica ad una sua ex ragazza, che non dimentica di mostrare la spinta forte della sessualità , che in ogni parte del disco è presente. Il suo corpo parla nella musica, negli acuti e nei fiumi di parole che attraversano l’ora e sei minuti di album.

La Hackman nelle sue parole non impone utopie o distopie, la parola distopia, come ha affermato lo storico Gregory Claeys significa “Un paese infelice”; ma porta una visione assoluta e totalitaristica di ciò che è, del suo continuo rinnovamento nel suo mondo.

Il disco mi ha fatto pensare ad una poesia di Houellebecq:

Some are seductive and therefore much loved;
They will know orgasms.
But so many others are weary, with nothing to hide,
Not even phantasmz

Sia l’autore che la Hackman riescono ad essere seducenti nella loro arte, “I’m Not Your Man” già  è nel mio listone di fine anno: metto le mani avanti e continuo ad ascoltare questa perla della splendida sophomore.

La Hackman è un pochino come Andy Warhol: astratto e iconico si toccano e creano un disco unico perchè autobiografico e reale.

Photo Credit: Steve Gullick