Tra le tante reunion degli ultimi anni, quella degli At The Drive In è stata sicuramente una delle più clamorose e meno scontate. I cinque di El Paso, dopo l’uscita di “Relationship of Command” (2000), terzo lavoro in studio accolto trionfalmente da critica e pubblico, sembravano destinati ad avere un futuro radioso e ad assumersi la non facile responsabilità  di salvatori del rock a stelle e strisce. Dissidi interni, eccessi di vario tipo ed esaurimenti nervosi costrinsero però gli At The Drive In a gettare la spugna nel marzo 2001, nel pieno di un tour già  segnato da tensioni e incidenti. La band si spaccò in due parti: il cantante Cedric Bixler-Zavala e il chitarrista solista Omar Rodrà­guez-López fondarono i fortunatissimi The Mars Volta, alfieri del progressive rock degli anni 2000 e vincitori di un Grammy Award; i restanti membri (il chitarrista Jim Ward, il bassista Paul Hinojos e il batterista Tony Hajjar) continuarono il loro percorso post-hardcore con gli Sparta.

Dopo essersi riuniti in formazione originale per una serie di date live nel 2012, gli At The Drive In sono tornati quest’anno con il nuovo “in”¢ter a”¢li”¢a”, primo lavoro in studio in ben 17 anni. Jim Ward è stato sostituito da Keeley Davis, suo ex-compagno negli Sparta, ma per il resto non molto è cambiato rispetto ai tempi di “Relationship of Command”. C’è da dire, a onor del vero, che la passione che animava gli spiriti dei membri degli At The Drive In agli esordi è decisamente diminuita; i texani non hanno più il fuoco addosso come quando avevano vent’anni, ma la grande esperienza accumulata in quasi due decenni di progetti diversi e ambiziosi ha dato linfa vitale agli undici brani di “in”¢ter a”¢li”¢a”. I virtuosismi di Rodrà­guez-López e i mirabolanti intrecci tra chitarre ci sono ancora, più raffinati e complessi di prima (“Continuum”, “Pendulum In A Peasant Dress”). La voce di BixlerZavala non graffia più come una volta e raramente raggiunge i picchi dei The Mars Volta, ma l’intensità  e la versatilità  espresse in brani come “Tilting At The Univendor” e “Torrentially Cutshaw” sono davvero notevoli. Il nervosismo e la vena impulsiva dei lavori pre-scioglimento sono stati sostituiti da una maggior attenzione alle melodie e all’immediatezza dei ritornelli (“Governed By Contagions”, “Call Broken Arrow”, “Incurably Innocent”). Tracce dei progetti paralleli di BixlerZavala e Rodrà­guez-López si ritrovano nei passaggi progressive di “Holtzclaw”, nel post-punk dal piglio hip hop di “Hostage Stamps” e nel funk lento e dark di “Ghost-Tape No. 9”, l’episodio più particolare e audace di questo In·ter a·li·a.

In fin dei conti, la maturità  non ha fatto male agli ormai ultra quarantenni cinque ex-ragazzi di El Paso: In·ter a·li·a ha tutti gli elementi che ci si aspetterebbe di trovare in un disco degli At The Drive In e altre interessanti novità . Tuttavia resta forte il dubbio che, se la band non fosse esplosa a un passo dalla vetta in quel lontano marzo 2001, questo quarto album sarebbe potuto essere qualcosa di più dell’ennesima ““ seppur riuscitissima ““ operazione nostalgia.