Ci sono diversi motivi per poter credere che “Somersault” rappresenti per i Beach Fossils un nuovo inizio, il primo tassello di un percorso più maturo e ambizioso in una carriera iniziata solo otto anni fa. La copertina totalmente bianca e il titolo stesso del lavoro (il termine “somersault” può essere tradotto in italiano come “ribaltamento” o “salto mortale”) sono i due segni più evidenti della volontà  del trio di Brooklyn di allontanarsi definitivamente e senza troppi rimpianti dallo stile dei primi due album – “Beach Fossils” del 2010 e “Clash The Truth” del 2013 – per cercarne uno diverso e innovativo. Una mossa coraggiosa e tutt’altro che priva di rischi, per una band ancora tanto giovane.

Il “salto mortale” è però riuscito alla perfezione: “Somersault” è una piccola sorpresa, in cui sonorità  moderne e vintage si incontrano senza pestarsi mai i piedi. Il lo-fi e la new wave nervosa e dal retrogusto surf degli esordi sono stati sostituiti da un raffinatissimo pop-rock di matrice “’60s e “’70s – splendidamente prodotto e arrangiato ““ dalle innumerevoli sfaccettature e aperto a ogni genere di contaminazione (folk, psych-rock, downtempo, dream pop, post-punk). In questi undici brani, curati in ogni minimo dettaglio neanche si trattasse degli Steely Dan, i Beach Fossils mostrano tutto il loro talento compositivo e lasciano intravedere ulteriori margini di crescita: su tutti spicca “Saint Ivy”, un aggraziatissimo esercizio chamber pop con tanto di quartetto d’archi, assolo di flauto e chitarra alla George Harrison di “Something” nel finale. I cori di Rachel Goswell degli Slowdive su “Tangerine” aggiungono piacevoli sfumature shoegaze a una base easy listening delicata e un po’ malinconica, mentre il rapper Cities Aviv arricchisce con le sue rime l’interessante – seppur brevissimo ““ esperimento jazz di “Rise”, un soul di gran classe in cui spunti moderni (Mac DeMarco, Robert Glasper) si uniscono a soluzioni più rètro (Shuggie Otis, Gil Scott-Heron).

Il lato più “estivo” dell’album emerge nelle solari “This Year” – che ricorda da vicino gli Arcade Fire di “Funeral” ““ e “May 1st”, in cui tornano a farsi sentire le vecchie influenze surf. I Beach Fossils tentano la via del psych-rock in “Closer Everywhere” ““ qui a farla da padrone è un clavicembalo che sembra arrivare direttamente dai tempi d’oro della Summer of Love ““ e quella dell’alt country/folk nella conclusiva “That’s All for Now”. Solide linee di basso fanno da base al post-punk di “Down the Line” e al dream pop solenne e orientaleggiante di “Be Nothing”, mentre il downtempo di “Social Jetlag” riporta alla mente le melodie eleganti e leggere degli Air di “Talkie Walkie”.

“Somersault” è il disco della maturità  dei Beach Fossils: estremamente raffinato ma mai pretenzioso, complesso e allo stesso tempo di facile ascolto. I tre di Brooklyn dimostrano di essere validissimi eredi moderni della più nobile tradizione pop-rock del passato, senza lasciarsi travolgere da inutili nostalgismi o crogiolarsi nel citazionismo sfrenato tanto diffuso al giorno d’oggi.

Credit Foto: Kohei Kawashima