Otto anni possono sembrare una vita intera. A maggior ragione per una band con sulle spalle il bagaglio – pesante – di una carriera che ha vissuto nella prima decade degli anni 2000 la propria fase più importante. Una band che, di fatto, non sembra sentirsi a proprio agio con l’industria musicale di oggi, e che poco ha fatto per nascondere la propria insofferenza negli ultimi tempi. I Brand New, alla fine, sono tornati. All’improvviso, con un album tanto atteso quanto inaspettato nell’uscita, repentina e accompagnata da una campagna in stile blitzkrieg sui social media. Ecco a voi “Science Fiction”, allora, LP numero cinque per la band di Long Island, uscito sotto l’etichetta indipendente Procrastinate! Music Traitors. Una campagna-lampo, dicevamo. Qualcosa come: la musica prima di tutto, e chissenefrega di tutto il resto. Anche delle ultime release marchiate Brand New, dalle leaked demos a una “I Am A Nightmare” che mai come oggi suona come un semplice esercizio di stile, simile a un outtake di “Your Favourite Weapon” (2001).

Dimenticate tutto quello che credevate di sapere su Jesse Lacey e soci, sedetevi, abbassate gli scuri e premete play. “Science Fiction” vi porterà  in un viaggio nel bel mezzo dell’oscurità  della mente umana, esplorando paesaggi sonori di varia natura, mettendo in luce – una volta in più – l’anima di una band che (forse) così non avete mai sentito. Tutto comincia con un enigmatico spezzone vocale, che racconta la storia di un sogno, giusto prima che “Lit Me Up” avvolga la stanza con il proprio alone di malinconia. Le chitarre pungono, tanto quanto le linee di basso, a braccetto con la voce di Lacey, che ricorda l’era “The Devil And God”, eppure suona comunque un qualcosa di totalmente nuovo, in grado di cancellare i ricordi del rumoroso “Daisy” (2009). Non c’è modo di trovare un fil rouge vero e proprio, tra i dodici capitoli di questo nuovo album, specialmente quando “Science Fiction” si muove tra brani quali “Get It Out” o le desolate atmosfere di “Waste”, uno degli episodi più intensi del disco sul piano emozionale.

à‰ un viaggio imprevedibile, tra cambi di registro, liriche enigmatiche (“At the bottom of the ocean fish won’t judge you by your faults”), e reminiscenze dei primi Nirvana dal grunge “sporco” (“No Control”). Si va dalle chitarre distorte di “Same Logic/Teeth” (maestosa) a momenti intrisi di flamenco nella profonda “Desert”. E ancora, ci sono momenti più sperimentali e schizofrenici in “137” e “451”.

“Science Fiction” suona un po’ come il manifesto di un’era, e lo fa a partire dalla sua copertina, un pugno in pieno stomaco come da buona tradizione in casa Brand New. La band ha abbattuto il muro sonoro eretto con “Daisy”, avvicinando una nuova dimensione che certamente rimanda alla produzione di meta anni 2000, pur emergendo come un qualcosa di nuovo, peculiare e a suo modo sofisticato. Non manca nulla, se non forse quel climax atteso e ricercato, ma che non arriverà  cosi come lo vorremmo in un disco dei Brand New. L’album si mostra in tutta la sua maestosa bellezza, con il gruppo di Long Island abile a mantenere la tensione alta per tutta l’ora e passa della sua durata.

I quattro  giocano ancora una volta a carte coi nostri cuori. Lo fanno con – dalla loro – un inestimabile bagaglio di talento, come musicisti, compositori, autori. Hanno scritto un album che suona alle mie orecchie come un testamento in 12 brani e poco più di un’ora di musica complessa e non facile da assimilare a primo impatto. Mi ci sono voluti più ascolti, e ancora non sono certo di aver compreso appieno quest’opera numero cinque di Jesse Lacey e i suoi Brand New.

Eppure sento di dover loro un (bel) po’ della mia gratitudine. Se non altro per  essere una dei pochi esempi viventi di band ancora in grado di spiazzarmi con la loro musica. Lo ammetto: ho atteso a lungo questo nuovo disco, giunto al nostro cospetto come si deve a una band da sempre attenta alla sostanza più che alla forma. Ella fine della storia, “Science Fiction” mi preso a pugni il cuore e detto la verità , anche quelle parti più amare che non avrei voluto sentire. Non ho mai chiesto nulla più di questo.