A un anno dall’album di debutto, “Masterpiece”, il quartetto folk-rock di Brooklyn raggiunge il doloroso incanto con il secondo LP, “Capacity”.
Le undici tracce, registrate in uno studio di New York, raccontano di traumi, contraddizioni e momenti periferici di vita che assumono la forma di una confessione. Adrianne Lenker, autrice e voce dei Big Thief, si confida con una gentilezza rara, qualità  già  presente nel primo album (“Lorraine”, “Paul”, “Randy” ““ tra le canzoni più riuscite del lotto), ma ancora più intensa in questa seconda prova.

Nella traccia d’apertura, “Pretty Things”, la voce della cantante, accompagnata solo da un arpeggio acustico, si rivolge all’amante, Matthew. Lo chiama per nome ““ in una consuetudine che si ripete nel corso dell’album, come se il nome proprio diventasse il punto di partenza della memoria ““ e gli sussurra: There’s a woman inside of me, there’s one inside of you too. Attraverso un processo di non identificazione in un genere, la cantante ricerca una femminilità  (e mascolinità ), che è propria di ciascuno, donna e uomo.
Segue “Shark Smile”, pezzo alt-country, in cui si racconta la storia di un incidente d’auto: una persona muore e una persona sopravvive. Si crea una dissonanza tra il suono e la parola, che lascia un senso di leggerezza straniante, altro leitmotiv di questo album.
I frammenti di vita ““ più vicini alla forma di un taccuino che di un diario ““ proseguono nelle tracce successive. “Capacity”, la title track, manifesta la capacità  di raccontare, di rendere credibile e vero qualcosa che è (forse) solo immaginazione, a partire da un oggetto, come può esserlo una fotografia (I am a beautiful bird / Fluttered and floating / Swollen and hollowed / For heaven).
In “Watering” e “Coma” il trauma emerge, improvviso e violento. Nella prima, viene accentuato dalla distorsione delle chitarre; nella seconda, dal fingerpicking iniziale che si apre verso un riff che ipnotizza.

All’età  di cinque anni Adrienne Lenker si trasferisce con la famiglia a Nisswa, una piccola città  del Minnesota. Quando un chiodo si stacca dalla casa sull’albero, colpendo la bambina sulla fronte e ferendola gravemente, la cicatrice che resta diventa la mise en abyme dell’album, la condensazione del tempo dell’infanzia in una canzone, “Mithological Beauty”, primo singolo ed epicentro di “Capacity”. La cantante ripercorre quell’evento traumatico, in una conversazione dolorosa con la madre (You held me in the backseat with a dishrag / Soaking up blood with your eye / I was just 5 and you were 27, praying don’t let my baby die).

è quasi in chiusura che si trovano due tra i momenti più suggestivi. “Haley” è la storia di un ritorno, di un accogliere a braccia aperte, nonostante tutto. Anche qui il nome diventa ponte di conoscenza tra la vita passata e la vita presente. “Mary” è una ballata per pianoforte in cui gli oggetti, in un riverbero continuo di parole, diventano reliquie di un periodo adolescenziale in cui gli amori sono sacri e irripetibili (Will you love me like you loved me in the January rain?).

La cover dell’album, allora, non può che rappresentare la traccia visibile della realtà : è lei, Adrien, quella bambina nelle braccia dello zio Adam, allora quattordicenne. Un ritratto di famiglia, una fotografia nostalgica, che rimanda ad un’iconografia tipica degli anni Novanta, testimonianza di ciò che è stato e che riaffiora, leggero, in queste undici canzoni.