I Preatures nascono a Sydney nel 2010 e tutto ruota, sopratutto, intorno alla figura di Isabella ‘izzi’ Manfredi, autrice principale dei brani, leader carismatica della band e, come si può facilmente intuire, di chiare origini italiane. “Girlhood” è il secondo album, che segue “Blue Planet Eyes” (2014), album dal buon successo sopratutto grazie al singolo “Is This How You Feel?”

Il loro è un piacevolissimo pop-rock, solidamente ancorato a dettami anni ’80 con i Pretenders (notare anche l’assonanza dei nomi stessi delle band) a fare da punto fermo creativo. In realtà  il campo musicale poi cita o evoca, con assoluta disinvoltura e padronanza, anche altre istituzioni di quel periodo musicale, da Cindy Lauper agli Ultravox, passando per Belinda Carlisle e la prima Madonna, arrivando agli australiani Divinyls, (anche loro guidati da una fanciulla, ovvero Chrissie Amphlett), il tutto ovviamente inserito in un magico contesto alla “Breakfast Club”: nostalgia canaglia verrebbe da dire, ma assolutamente inevitabile.

Chi vi scrive può solo constatare che le Haim (paragone moderno, dopo i tanti del passato, che potrebbe essere tirato in ballo), di fronte alla spigliatezza, alla concretezza e alla sensualità , mai sfacciatamente ostentata (doveroso dirlo!), di Isabella, ci paiono giusto 3 suore in gita allo studio di registrazione, ascoltare per credere la title track in cui è lo spirito di Blondie che satura l’aria. In realtà  l’album è magnificamente variegato, cosicchè chi si aspetta solo del pop-rock pimpante e carico (“Mess It Up” da applausi!!) viene avvolto e circuito anche da ballate più riflessive (“Your Fan” è da accendini e lacrimoni, mentre “Cherry Ripe” è incanto notturno e carezzevole), come se ci fosse da ricaricare le pile dopo essersi scatenati sul dancefloor. Synth e chitarre in perfetto equilibrio spianano la strada a ritornelli appiccicosi che arrivano come se non ci fosse un domani, trovando l’apice nella deliziosa “Yanada”. Quando poi la nostra Isabella canta addirittura in italiano nella conclusiva e morbida “Something New”, beh, ci sentiamo assolutamente sopraffatti, conquistati e stregati non solo da lei , ma da un disco che ha catturato la nostra attenzione dall’inizio alla fine: un pregio assoluto. Alla fine, facendo i pignoli, toglieremo giusto un mezzo punto perchè l’aspetto più indie viene eliminato in favore di una produzione più “mainstream”, non un male certo (almeno in questo lavoro), ma a qualcuno la cosa potrebbe fare un po’ storcere il naso, nonostante il giudizio resti assolutamente positivo.