di Nicola Poffo

Chi ha disertato la data di Nick Cave ad Assago lunedì 6 novembre, perchè magari pensava che Cave non avesse più l’età  o lo smalto degli anni andati, mai come questa volta ha avuto torto: lo spettacolo ha infatti coniugato la generosità  di un lungo concerto, una grande scaletta e infine una serie di sorprese nate dalla capacità  di Nick Cave e del pubblico italiano di costruire insieme un evento particolarmente riuscito. Proprio il pubblico è stato decisamente il vero protagonista di un concerto che a lungo verrà  ricordato.

Nick Cave suona molte canzoni dell’ultimo disco “Skeleton Tree”, uscito nel 2016, soprattutto all’inizio del concerto (“Anthrocene” che apre il concerto, “Jesus Alone”). Già  in questi pezzi si capisce che qualcosa, tra  il pubblico e l’artista, sta succedendo:  è come se il crooner australiano facesse il direttore d’orchestra delle mani alzate delle persone, che si muovono a ritmo, talmente bene, che Cave stesso, se ne stupisce con sorpresa. “Awesome” dice, e poi continua  muovendosi dall’inizio alla fine del palco per stringere o appoggiarsi a quelle mani.

Una versione selvaggia di “Higgs Boson Blues” segna un altro passaggio: qui nasce il tema onomatopeico di un cuore che batte: “papapa” (è veramente difficile da descrivere se non si era lì…) che viene aggiunto alla canzone e che Nick Cave e il pubblico ripetono più volte durante la serata insieme e separatamente. Grande scaletta, si diceva: per chi ama i primissimi Bad Seeds, una dopo l’altra scorrono canzoni come “Tupelo”, “From Her To Eternity”,   “The Ship Song” e,  naturalmente l’immancabile “Mercy Seat”. C’è un’intensa “Red Right Hand”. Tutti poi cantano insieme “Into My Arms”.

Durante il bis Nick Cave decide che l’interazione con il pubblico deve salire ancora di livello. Durante “The Weeping Song” si getta fra la gente e ricompare spinto dalla folla in cima a un palchetto in mezzo al forum di Assago. A metà  della canzone affida a una delle tante mani alzate il microfono, come fosse una specie di supporto umano (il quale, obbediente, resta con la mano alzata per tutta la canzone, in attesa che il cantante  vada a rimprendelo ) e invita il pubblico inserire un cambio di ritmo nel ritmo nel pezzo, a suon di applausi.

Nei momenti di silenzio, c’è un tizio nel pubblico che ogni tanto grida durante il concerto: “We fucking love you!“. Nick Cave se ne accorge, gli scappa un sorriso.

Alla fine del pezzo ritorna sul palco, ma non avviene subito. Qualcuno, sugli spalti,  comincia persino a preoccuparsi, quasi che il cantante fosse stato inghiottito dalla folla. Invece no, anzi, si direbbe il contrario, è Lui (L maiuscola) che inghiotte la folla e si porta una cinquantina di persone sul palco insieme ai Bad Seeds (sei musicisti in forma strepitosa), con cui intona una travolgente “Stagger Lee”. L’ultimo pezzo, Push The Sky Away, chiude un concerto di quasi due ore e mezzo. I megaschermi inquadrano Nick Cave abbracciato a un tipo biondo, incredulo…a petto nudo, come se fosse un suo amico. Un’immagine che sembra un po’ rappresentare uno spettacolo che non è stato solo l’esecuzione di magnifica musica, ma anche un evento assolutamente irripetibile, nato dall’incontro di un grande performer con un pubblico altrettanto intenso.

We fucking love you, Nick Cave.