“If all I was was black”: un disco on the road, con il passo Funky, ma il sound è più attuale, non sgranato e meno chiassoso del “passato funky”, in senso buono.

La grinta nera di Mavis Staples è un controllato viaggio tra rock leggero e rock n’roll, rivisitato da voci del ghetto che ci mettono dentro l’effetto di quel contesto di strada tanto cara alla cultura afroamericana.

“Little bit”, primo brano dell’album, possiede un groove che viene dal profondo, scavato in quel ritmo così compagnone da farti sorridere con pudore, facendoti incappare in una camminata sbilenca.

Si inizia così a riscoprire quell’identità  chiara e dura come il pioppo, fresca come la menta – per portare sollievo all’udito, con un’aria che viene da un’ altra era.

“Build a bridge”, settima traccia, sbircia nei saloni di bellezza, osservando le ragazze che si acconciano tra i segreti amorosi.

Una nota particolare per “Ain’t no doubt about it”: con un passo soul elegante da spostare in avanti un piede e trascinare l’altro, la controvoce melodica di Jeff Tweedy – ex Wilco e produttore dell’album. Mavis e Jeff sono alla terza collaborazione; i due artisti sono di Chicago e forse anche questo contribuisce a creare la loro chimica musicale. Un incontro sulla stessa strada, dopo un lungo peregrinare in altri greggi.

Mavis Staples sembra portarci oggi in percorsi meno rumorosi del passato, con una classe conquistata e non innata, come a dirci sono arrivato, facciamo parte ancora della strada e la descriviamo ancora oggi, non per gridare un dolore, ma perchè questa musica è il nostro humus.

Libertà  è riff; occhio amico, occhio, o un occhio nero avrai. Oggi baby non mi avrai, la strada ormai è larga per tutti.

Photo_Credit_Myriam_Santos