Andavo piuttosto cauto con la produzione solista di Thomas James White , ex The Electric Soft Parade e Brakes. Questo perchè il secondo album “Fuchsia Days”, che si mostrava in tutta la sua orchestralità  synthetica, tra passaggi sdolcinati e fin troppo pesanti, non mi aveva convinto. Certo, per White era stato un momento di passaggio e di distacco da una produzione più rock e da un mondo mainstream, ma ammetto che questo viaggio lo-fi mi aveva un po’ sfinito alla lunga: raffinato certo, ma anche eccessivamente ridondante. Ecco perchè quando mi sono accostato a “Jupiter, Florida” erano più i timori che le speranze. Per fortuna la partenza pimpante e accattivante di “Gone Today” mi ha riportato il sorriso e cancellato le paure.

Non mancano la spazialità , gli arrangiamenti e l’ariosità  di composizioni che guardano con piacere agli anni ’70, ma il tutto non suona autoindulgente, bensì stuzzicante e nel disco aumenta sicuramente il “tasso pop”, più variegato rispetto al disco precedente, con un bel grado di vicinanza a certe strutture che possiamo ritrovare anche nella scrittura del Martin Carr più ispirato. La delicata “The End Of The Affair”, con la strumentazione che ci cresce intorno, per non parlare del climax totale di “Black River”, ci mostrano un artista che si sente ispirato e ha voglia di mettere in campo idee e soluzioni variegate. C’è un richiamo al lavoro di synth del disco precedente (“Memory”), ma dove prima si usavano toni più bassi e densi ecco che qui ,a un certo punto, il ritmo si alza e ci si sente catapultati in una specie di ‘space-disco’ da ‘Tempo delle Mele’.

Ci sono anche dei momenti in cui “gli studi classici del pop” emergono in modo emozionante. Dalla “morrisseyana” “Ten Years” (in cui compaiono deliziosi fiati), alla ballata classica e squisitamente guitar-pop di “Sweetnes & Light” che ci rimanda quasi ai Rialto, in questo gioco di raffinatezze pop che viene accentuato da “Some Things Never Die”, ancora vicina alla poetica della band Louis Eliot, così come ai Pulp. La chiusura epica di “Will I Get Where I’m Going Before I’m Ready?” (10 minuti!) è il superbo viatico finale verso quel senso di gratificazione e positività  che ci ha accompagnato per tutto il disco e che qui trova magnifiche suggestioni.

Un gran bel disco, che segna una riappacificazione con il pop per Thomas James White che non lavora tanto sull’ originalità , quanto su una riuscita amalgama di influenze che esaltano il suo gusto melodico.