Il percorso della creatura musicale di Luis Vasquez prosegue lì dove andavano a morire le ombre scure ingoiate dal baratro del precedente “Deeper”. L’intento sembra sempre più chiaro: creare non solo landscape sonori come mezzo per esprimere (domare?) le proprie pulsioni autodistruttive (come accadeva nel perfetto esordio del 2010, licenziato dall’iconica Captured Tracks), ma anche cesellare una forma-canzone in parte retromodernista in parte futuribile, intrisa di elettro-post-punk industriale. La parte testuale risulta sempre scabra, fatta di haiku rigidi e spogli, sguardi trafelati su una per lunga tempo inconfessata impasse esistenziale. Ma quelle della Luna Soffice non sono storie, sono presagi, sguardi di sguincio, impressioni che catturano fugacemente esalazioni tossiche da un Oltrefuturo di deserti urbani e coscienze contraffatte. In queste ambientazioni fatiscenti si aggira il “replicante” Vasquez, alchimista sonoro post-Reznor la cui complessiva visione musicale monolitica fa da collante ad una poetica altresì basata sulla dissoluzione, la frammentazione, la perdita di un baricentro emotivo, il distacco dal sè o il rimpianto del sè. Ma nonostante i synth distorti, i ritmi meccanici, l’elettronica spartana, i giri di basso aggrondati (“familiari” eppure nuovissimi), gli sprazzi “tribali”, l’attitudine se vogliamo demodè se consideriamo i canoni pitchforkiani, il progetto Soft Moon riesce a cristalizzare una sorta di archetipo pop-gotico da fissare nel tempo, grazie ad un’accentuata vena melodica che dona un volto umano a brani sporchi, apparentemente impenetrabili, trasandatamente sensuali. V’è il bisogno di comunicare la propria personalità  da un lato. E dall’altro è evidente una certa sicurezza dei propri mezzi nel cantare la propria insicurezza.

Luis Vasquez è sugli scudi, il suo volto esce dall’oscurità : The Soft Moon non proietta più orizzonti tecnologici inquietanti, perchè il Futuro adesso è qui, è il Presente.

La brutalità  del sound viene dunque sublimata in cavalcate ispide ma dagli spigoli sempre più sfrangiati come accade nell’opener “Burn” o in “Pain” (con bella coda ambientale annessa di synth esanimi e altresì malinconicamente evocativi), oppure come nell’ultra-melodica e dolente “It Kills”, o ancora come in quella sorta di marcia-Blade Runner che è “Young”. In “Born Into This” troviamo un qualche aggancio con il suono Soft Moon post-punk prima maniera, con quella sezione ritmica a base di ingranaggi di lega arrugginita e le ben conosciute, impietose stilettate synth-etiche. Altrove sbocciano come fiori meccanici nella notte scorribande che mixano con mano sordida arrembanti impulsi electro-rock e scorie industriali (“Like a Father”, “ILL”). Assolutamente da approfondire poi questa vena meditativa in parte inedita riscontrabile nell’incubo sci-fi introspettivo di “Give Something” (una continuazione sonora ancora più riflessiva di “Wasted” del precedente album?) e nel gran finale rappresentato dalla title-track, sorta di oscuro manifesto personale del Nostro.

Alcuni rimpiangeranno gli esordi lo-fi e meno “personalizzati” del progetto Soft Moon. Noi non possiamo non apprezzare l’emergere sempre più nitido dell’anima più fragile del suo demiurgo, il quale però continua a non disdegnare mai affondi feroci e attacchi frontali. Il risultato del mix tra i due volti di Vasquez è un altro piccolo capolavoro di rock “nero” moderno, memore del passato e smarrito nei labirinti dell’Oggi, e quindi proprio per questo ben consapevole del momento attuale.

Photo: Ales Rosa