Stesso rossetto rosso rubino, stesso vestito che lo accompagna ormai da anni. E’ tornato Ezra Furman, musicista e personaggio che colpisce. Sempre e comunque. Provocatore un po’ per gioco un po’ per scelta, ma mai in modo banale. Nei quasi tre anni passati da “Perpetual Motion People” Ezra si è trasferito da Oakland nella natia Chicago, per poi tornare precipitosamente in California (a Berkeley questa volta) in un pazzo on the road che deve aver ispirato molte delle canzoni di “Transangelic Exodus”. Per strada è rimasta la band che lo seguiva da tempo, i The Boyfriends, che ha cambiato nome trasformandosi nei The Visions (i musicisti sono sempre gli stessi). Cambiamento, trasformazione sembrano essere le parole d’ordine di un album che raccoglie tredici storie costruite attorno allo stesso tema. E’ un universo parallelo quello creato da questo californiano d’adozione, dove gli uomini possono diventare angeli grazie a un’operazione che il governo vuole vietare.

A Queer Outlaw Saga” l’ha definita Ezra Furman e di sicuro le premesse per una graphic novel a puntate ci sono tutte. L’inizio di “Suck The Blood From My Wound” è piuttosto interessante: una scena à  la Bukowski (“I woke up bleeding in the crock of a tree/ TV blaring on the wall above the coffee machine/ Car wash waiting room outside Pasadena“) con un sottofondo divertente e sinistro allo stesso tempo. La voce di Ezra Furman in questo brano è un chiaro omaggio a Bob Dylan ma le analogie finiscono qui. “Perpetual Motion People” ha segnato la fine di un ciclo, è chiaro. Il colorato rock anni cinquanta / settanta sperimentato coi The Boyfriends non basta più a un Mr. Furman che cerca di scrollarsi di dosso anni passati ad ascoltare Lou Reed e Chuck Berry e ci riesce in parte nell’arrabbiatissima “No Place”che ricorda il Jack White solista e nella spettrale “Driving Down To L.A.” Il passato torna solo per un attimo in una “Love You So Bad” giocosa solo in apparenza per poi essere lasciato alle spalle, forse definitivamente. Sostituito da un presente cupo, nervoso, tormentato. L’altra faccia della medaglia, in cui le ossessioni prendono il sopravvento.

Alla fine i momenti migliori dell’esodo raccontato da Ezra Furman finiscono per essere quelli in cui mette da parte le angeliche ali e fa i conti con se stesso, con la propria identità  bisex in bilico tra il vestito rosso di una divertentissima “Maraschino”“Red Dress $8.99 At Goodwill” e la giacca di pelle di “I Lost My Innocence”. Il rapporto tormentato con la religione ebraica viene raccontato in “God Lifts Up The Lowly” e “Psalm 151”, ballate eleganti in cui Furman si mette a nudo con onestà . Due attimi di tranquillità  in quello che sembra essere il classico album di transizione. Come molti album di questo tipo, alterna brani più intensi (“Compulsive Liar”, “The Great Unknown”,”Peel My Orange Every Morning” altro titolo geniale tra I tanti inventati da questo provocatore nato) ad altri meno convincenti (“Come Here Get Away From Me”, “From A Beach House”). Restano i testi, sempre molto validi, scritti da Furman e il coraggio con cui “Transangelic Exodus” cerca di andare oltre le convenzioni musicali e stilistiche dell’America di oggi. L’ennesima evoluzione di un artista che non si accontenta di essere solo se stesso.