Potere alle sensazioni. Questo è quanto emerge dal nuovo lavoro dei ravennati Rigolò che partono da misurate trame anni ’90, da quell’indie che non fa della voce grossa una ragion d’essere ma preferisce muoversi quasi sotto traccia, con una base folk molto vitale, plasmata per assorbire anche sperimentalismi e sottili pulsioni rock lo-fi, in grado di tenere sempre accesa la nostra fiamma dell’attenzione e della curiosità .

Andrea Carella guida una formazione che, in primis, non si dilunga in una verbosità  inutile, ma saggiamente lascia tantissimo spazio al potere comunicativo dei suoni: non una band strumentale quindi, ma un gruppo che sa dosare con parsimonia e ricchezza le proprie parole, accompagnandole ad un gusto malinconico e morbido, come se i Belle and Sebastian guardassero all’America, in cerca di una misura e di una dimensione cinematografica lenta nel ritmo e ricca di suggestioni minimali e, perchè no, post-rock. Pare strano, scritto così, eppure questa è la sensazione che ci pervade.

Spicca il violoncello di Jenny Burnazzi a dare un calore ineasauribile a ogni pezzo: casa accogliente anche in mezzo al tornado di emozioni che, anche un passo misurato come quello dei Rigolò, sa provocare. Un disco decisamente suggestivo.