Avevamo lasciato i Titus Andronicus alle prese con “The Most Lamentable Tragedy”, massiccia opera rock di ben novantatre minuti divisa in cinque atti. Era il 2015 e già  si intuiva che non sarebbe stato semplice ripartire dopo quell’album incredibilmente complesso dove i Titus Andronicus (e il frontman Patrick Stickles in particolare) sembravano aver dato tutto cimentandosi tra l’altro in cover dei Pogues e di Daniel Johnston. “A Productive Cough” mostra un lato diverso della band di Glen Rock, New Jersey. Stickles e soci abbandonano il punk propriamente detto e riscoprono la passione per il rock classico, dai Rolling Stones a Springsteen, in sette lunghi, lunghissimi brani nati sulla scia di “More Perfect Union” e “(S)HE SAID (S)HE SAID”. “I nostri album hanno sempre avuto una buona dose di ballate” ha dichiarato un Patrick Stickles più vulcanico e chiacchierone che mai “Solo che prima le tenevamo nascoste“. Non più a quanto pare, anche se il termine ballata nel mondo dei Titus Andronicus assume un significato tutto particolare.

Gli otto minuti di “Number One (In New York)” messi in apertura sembrano fatti apposta per dire: attenzione, il vento è cambiato. Stickles si ribattezza presidente del nulla e ce la mette tutta, si sforza, si agita, provando disperatamente a contenere la voce. Come se dicesse a se stesso: non devo urlare, non devo urlare, mannaggia non devo urlare (ce la fa per circa metà  brano). Il risultato è un ruvido e surreale pezzo midtempo che poggia quasi interamente sul piano di Alexander Molini. “Above the Bodega (Local Business)” ancheggia col suo ritmo funky, divertente e contagioso. A colpire però è soprattutto la vulnerabilità  di “Crass Tattoo”, dove Stickles si fa da parte lasciando il microfono a una cantantessa d.o.c come Megg Farrell, capace di far commuovere e questa è una novità  per i Titus Andronicus (commovente a suo modo è anche “Mass Transit Madness (Goin’ Loco)”). Profuma di rock anni ottanta con tanto di assolo chilometrico invece “Home Alone” e la voce di Patrick Stickles non è molto adatta allo scopo, questo va detto.

“(I’m) Like a Rolling Stone” è una cover piuttosto fedele dell’omonimo pezzo di Bob Dylan reso famoso da Mick Jagger & co e proprio alla versione degli Stones somiglia quella proposta da Stickles, che poco aggiunge all’originale. Un sentito omaggio che nel testo cita Keith Richards, Charlie Watts e Brian Jones ma nulla di più. Cimentandosi con ritmi più lenti del solito il rischio era quello di perdere per strada quell’energia che ha sempre caratterizzato i Titus Andronicus, energia che in “A Productive Cough” fa comunque capolino nell’arrabbiatissima “Real Talk” con un arrangiamento grintoso a base di fiati e armonica e un ritornello tutto da cantare. La differenza rispetto al passato si sente ed è forse quello che Stickles voleva. Scioccare fan e ammiratori con una mossa a sorpresa. “A Productive Cough” però convince solo in parte. Stuzzica, diverte, senza entusiasmare.

Foto Credit: Daniel Topete