Grandi cambiamenti in casa The Decemberists. Le dolci, struggenti, armonie folk pop che hanno caratterizzato per anni il sound della band capitanata da Colin Meloy spariscono quasi completamente da un album (l’ottavo in diciassette anni) ispirato ai Roxy Music che alla spensieratezza preferisce il rumore sordo e cupo dei sintetizzatori. “I’ll be your girl” è un party apocalittico prodotto da John Congleton (già  collaboratore di St. Vincent, Xiu Xiu, Anna Calvi, Alvvays) un perfezionista capace di creare arrangiamenti complessi e di gran classe che ha anche mixato due degli album più interessanti di questo primo scorcio di 2018 (“Historian” di Lucy Dacus e “Felt” dei Suuns).

La sua mano si sente soprattutto nella prima metà  del disco. “I’ve been waiting all my life” canta Colin Meloy in “Once In My Life” e la chitarra acustica lascia lentamente il posto al synth di Jenny Conlee in una ballata dal sapore anni ottanta, lenta e riflessiva, quasi in stile Editors. A proposito di sintetizzatori, quelli di “Cutting Stone” e “Severed” non avrebbero sfigurato nella colonna sonora di “Stranger Things”. “Starwatcher” e “Tripping Along” puntano invece sul minimalismo: spettrali e intense, con melodie appena accennate, completano la trasformazione dei The Decemberists che in “We All Die Young” sembrano fare il verso ai ritmi giocosi dei primi Franz Ferdinand, con in più una tromba e un coro di ragazzini a movimentare le cose. Grintosa è invece “Your Ghost” mentre “Sucker’s Prayer” rischiara con un bell’assolo di chitarra l’atmosfera dark di un album molto costruito e poco spontaneo.

Il passato fa capolino solo a tratti, nella semplicità  di “Everything Is Awful” (che ricorda le atmosfere di “The Crane Wife”) e della title track, nella mini suite “Rusalka, Rusalka/The Wild Rushes” che fa un po’ rimpiangere “The King Is Dead” e “What a Terrible World, What a Beautiful World”. Non è synth pop puro quello della band di Portland ma synth pop à  la The Decemberists, impreziosito dai testi e dalle voci di Meloy e della Conlee. Ha scelto di mettersi in discussione la band di Portland e “I’ll be your girl” in effetti è un esperimento interessante, non al livello di “Picaresque” o “The Hazards Of Love” ma decisamente migliore di quanto era lecito aspettarsi dopo i primi singoli.