I primi due album della formazione una volta conosciuta come Viet-Cong sono stati indimenticabili, con quel sound intricato e solido che poche band al mondo avrebbero potuto assemblare con altrettanta efficacia e algida – ma penetrante – emotività .
Questa idea di post-punk nevrotico memore dell’epoca analogica ma aggiornato alle istanze digitali e isolazioniste dell’Oggi viene ulteriormente indagata nel nuovo album dal titolo (fintamente?) pigro e sprezzante “New Material”.

I quattro di Calgary con la terza fatica sulla lunga distanza mostrano un nuovo lato della proprio malinconica paranoia, suggerendo scenari più intimi, personali e in definitiva inter-relazionali, tralasciando in parte, anche se non del tutto, la cupezza distopica di un tempo. Trattasi di una freddezza ora velata di sfrangiata vulnerabilità , rappresentata perfettamente nel singolo “Disarray”, miglior brano del lotto insieme a, non a caso, l’altro singolo-bomba tutto palpiti meccanici “Espionage”, riflessione a base di scoppiettante nevrastenia wave sull’ossessione moderna dei concetti di progresso e cambiamento.

I tribalismi androidi di “Decompose” e “Antidote” dimostrano che il tipico tocco labirintico e ossessivo della band è in grado di dipingere paesaggi sonori ebbri di stramba vivacità  bruciacchiata, lontana – apparentemente – dalle pose imbronciate di qualche anno fa, ma in realtà  sempre mal celanti pensieri torvi e presagi sinistri, che galleggiano sul pelo fumoso delle acque stagnanti di “Manipulation”, nella quale un Flegel sottoforma di spettro avvelenato declama versi meccanici e inquietanti come “Charm and betray/Ruin and replay/Seduce and deceive/Destroy and repeat” per poi uscire di scena quasi supplicando “Please don’t remember me/Like I’ll always remember you”. Umori che dunque virano di nuovo verso il nero e sfociano nei synth-etismi di “Doubt”, traccia tra il gotico e lo sci-fi nella quale prende il sopravvento un certo sconforto ( With doubt we comply/They ask and we supply/The cells divide and multiply/They multiply/The cells divide and multiply/And we can’t help ourselves).
Se il lato più classicamente post-punk è rappresentato dai viluppi affilati di “Solace”, in “Compliance”, all’altro estremo, emerge il lato più sperimentale ed astrattamente espressionista del quartetto, che spegne i microfoni e allestisce una strumentale a base di post-wave ambientale, basata su un loop riflessivo che veleggia stoico attraverso solchi di atmosferica e atonale glacialità .

Ancora una volta i Preoccupations si fanno alfieri di un esistenzialismo del paradosso fondato su un approccio anti-didascalisco, approfondendo le tematiche della fragilità  umana sempre evocandole e mai mettendole solamente in piazza, allentando le fitte trame della propria monolitica impenetrabilità  attraverso una visione ancora più astrattista. Meno compressa diremmo, meno implacabile. “New Material” è un disco che potremmo definire smarrito e contemporaneamente pregno d’urgenza, smanioso nella sua ricerca di un nuovo equilibrio. Non il migliore album della band, ma sicuramente il più catartico e personale.