Il signor Mark Oliver Everett ha scritto con i suoi Eels pagine importanti della musica indipendente americana a cavallo tra la seconda metà  degli anni novanta e la prima degli anni zero, questo almeno fino al monumentale doppio album “Blinking lights and other revelations”, dopodichè le anguille hanno un po’ tirato le code in barca, infilando tutta una serie di dischi molto buoni, ma che in definitiva nulla aggiungevano a quanto ascoltato nei primi fondamentali sei album.
Mr E ha ancora qualcosa da dire oggi? Sì, se dalla formula fin qui proposta non si pretende più di quanto ascoltato nel corso della trentennale carriera del musicista nativo della Virginia, no invece se si crede che gli Eels abbiano già  dato, e che sia quasi impossibile bissare titoli che hanno segnato un decennio come “Beautiful Freak”, “Electro-shock blues” e “Daisies of the galaxy”.

Chi vi scrive propende per la seconda tesi, non trovando in queste quindici nove tracce grossi motivi di interesse. Tuttavia il talento quando uno ce l’ha riesce a farlo trasparire anche nelle prove meno convincenti, e allora dopo un inizio con i fiocchi con la programmatica titletrack e una “Bone dry” accompagnata da un divertentissimo video con tanto di scheletrini ballerini, ecco comparire (dopo alcuni momenti non proprio memorabili) qualche gemma lucente in mezze a tanti zirconi; una “Day is the day” che non sfigurerebbe all’interno della scaletta di “Daisies of the galaxy”, una sentita ed accorata “Be hurt”, fino al grezzo rock’n’roll di una “You are the shining light” che con il suo scatenato handclapping porta stampato su di sè il classico marchio di fabbrica di tanti brani vincenti del passato.

Qual è sostanzialmente il problema di “The Deconstruction”? Uno solo, che il tempo passa per tutti e che la creatività  è naturale che vada lentamente scemando. Forse sarebbe stato meglio per gli Eels centellinare le uscite nel corso degli ultimi anni, per poi raccogliere tutto il meglio della propria produzione in al massimo due o tre dischi, ma credo che da quell’orecchio il vulcanico Mister Everett   non ci voglia proprio sentire.

Credit Foto: Gus Black