Pur senza mai brillare davvero, i texani The Sword non hanno mai deluso le aspettative dei fan e, nel corso di una carriera partita quindici anni fa, sono anche riusciti a togliersi qualche bella soddisfazione. In primis un lungo tour di supporto ai Metallica, che hanno sempre espresso parole di stima e sostegno nei confronti del più giovane e inesperto quartetto. Difficile dargli torto, con un debutto solido come “Age of Winters”: ancora oggi l’esordio datato 2006, straripante di riffoni memorabili e cannonate stoner metal, resta l’episodio migliore firmato dal cantante/chitarrista John D. Cronise e compagni. Da allora la band non si è fermata per un istante e, con il trascorrere del tempo, ha raccolto un carico di esperienze e ispirazioni che l’hanno spinta a tentare vie sempre diverse. Un lento ma ragionato processo di distacco dalle sonorità  più ruvide e tipicamente heavy degli albori sfociato nel 2015 nell’apprezzato “High Country” e proseguito nel nuovo “Used Future”.

A livello stilistico, questa sesta prova si allontana molto poco dall’hard rock di stampo classico presentato nel precedente capitolo in studio, chiudendo definitivamente i conti con il passato metal e le influenze doom. Le melodie settantiane e la lezione “sudista” dei maestri ZZ Top prendono il sopravvento e, affiancandosi a leggere spruzzate di synth e psichedelia, guidano gli Sword fuori dal denso fumo stoner e verso un futuro decisamente più accessibile e chiaro. Peccato però si tratti solo di un “futuro usato”: le sorprese scarseggiano e in svariati momenti si sente la mancanza della vecchia mano pesante. Nonostante questo, grazie a una manciata di ritornelli epici (come quelli di “Deadly Nightshade” e “Book Of Thoth”), montagne di groove (“Twilight Sunrise”, “Don’t Get Too Comfortable”) e un paio di riusciti esperimenti electro-blues rock (“Sea Of Green”, “Come And Gone”) la band texana riesce ancora una volta a lasciare il segno e farsi apprezzare per ciò che è: un onesto, solido quartetto hard rock senza troppe pretese.