Damien Jurado è sempre stato un’artista indipendente, nelle parole e nei fatti. Validissimo esponente di quella che è stata chiamata, in modo forse un po’ riduttivo, la seconda generazione di Seattle (quella venuta musicalmente alla luce nella seconda metà  degli anni novanta) ha dimostrato di possedere nel corso di una carriera ormai ventennale un’integrità  artistica non comune con i tanti album registrati per la Sub Pop prima e da qualche anno su Secretly Canadian. Dopo aver concluso nel 2016 una trilogia di ottimi dischi (“Maraqopa”, “Brothers And Sisters Of The Eternal Son” e “Visions Of Us On The Land”) dedicati a viaggi fisici e mentali, Jurado apre un nuovo capitolo della sua avventura musicale con “The Horizon Just Laughed”. Uscito ad inizio maggio ma che, per espressa volontà  del musicista, comparirà  sulle piattaforme di streaming solo a luglio.

Un album che ha il sapore di un ritorno a casa a lungo rimandato. E come spesso avviene quando si torna da un viaggio, lungo o breve che sia, quello che si trova non è mai esattamente uguale a ciò che si è lasciato. Forse è per questo che Damien Jurado preferisce spesso affidarsi ai ricordi, lasciando che sia una sensazione, un’immagine a dominare la scena (succede in “Lou – Jean” ad esempio o in “1973”). Musicalmente è tornato ormai da tempo al folk delle origini: minimale ma non troppo, elegante nelle orchestrazioni, solare e malinconico, che sa regalare grandi emozioni grazie alla calda voce di questo ragazzo del North West, che usa la chitarra per raccontare piccole storie (“Over Rainbows And Rainer” è una vera ninna nanna d’autore) e personaggi di ieri e di oggi, noti o meno noti.

Capita così che nel mondo creato da Jurado un brano dedicato allo scrittore Thomas Wolfe conviva col ricordo del compositore e arrangiatore Percy Faith, che un omaggio all’attore Marvin Kaplan non stoni con i cinquantaquattro drammatici secondi di “Cindy Lee”. “The Horizon Just Laughed”, autoprodotto dallo stesso Damien Jurado che interrompe così un lungo sodalizio col produttore Richard Swift, è stato paragonato all’ultimo Mark Kozelek o a Phil Elverum (in arte Mt. Eerie) ma in realtà  Jurado somiglia sempre e solo a se stesso. Intimo e brillante, capace di scrivere testi semplici ma intensi (“I can only exist so long as you laugh” si fa sfuggire in una romantica “Allocate”). Nostalgico della Seattle di ieri (come si sente nei sei minuti col fiato sospeso di “The Last Great Washington State”) ma con lo sguardo sempre rivolto al futuro.