Il secondo lavoro dei Drinks sembra proiettarci alla fine degli anni 70, quando il rock e il punk si trasformavano in quello che poi sarebbe stato etichettato in modo semplicistico come New Wave.

Questa trasformazione, alimentata da una sperimentazione elettronica a volte anche eccessiva, finì col produrre una serie infinita di lavori, più o meno riusciti.
Alcuni artisti riuscirono ad esprimere, già  dal primo album, una certa completezza e sicurezza stilistica come i Talking Heads con “Talking Heads: 77” o i Devo con “Q: Are We Not Men? A: We Are Devo!  “, mentre altri iniziarono con un sound in evoluzione, ancora grezzo, ma affascinante, come per esempio i Tubeway Army di Gary Numan o gli Adam and the Ants di “Dirk Wears White Sox  “.
I Drinks sembrano far più parte di questa seconda categoria, ci propongono un lavoro in bilico tra sperimentazione e riferimenti al passato, dando una sensazione generale ma ingannevole d’ improvvisazione.

L’utilizzo della chitarra e del piano crea un’atmosfera post-punk e se, alcuni brani strumentali come “If it” e “When I was young” sembrano suonare come un album demo di Laurie Anderson, altri come “Real Outside” e “Corner Shops” ricordano i Talking Heads, ma in una forma grezza come fossero registrazioni degli esordi mai pubblicati.
è chiaro che, da parte dei Drinks, questa è una precisa ricerca stilistica, come d’altronde la scelta della copertina del disco conferma, ma per quanto interessante l’intero lavoro convince solo a tratti.
Presley e Le Bon sono artisti brillanti e promettenti, sicuramente coraggiosi, tracciano un percorso ambizioso ma che ha bisogno di conferme e magari di liberarsi di una certa ruvidezza stilistica.

Il lavoro è stato registrato nel sud della Francia, a Saint Hippolyte du Fort, il titolo all’album “Hippo Lite” ne è chiaro riferimento, in un posto isolato dove la band si e divertita a registrare vari rumori e a inserirli nei brani.

I Drinks sono in fase evolutiva, l’unione tra Presley e Le Bon funziona, anche vocalmente, ma avrà  bisogno di una svolta che li liberi dall’auto compiacimento e trasformi   le pietre  in diamanti, magari attraverso la produzione e la supervisione di un Brian Eno di oggi .