di Michele Nicoli

Si dice la pazienza sia la virtù dei forti.
A distanza di quasi trent’anni, una persona matura cesserebbe d’inseguire il sogno per vivere la realtà , ma se non vivessimo di sogni che persone saremmo?

Ieri al Magnolia è passato uno di quei treni che si prendono una volta sola nella vita. Sto parlando dei Bad Religion, probabilmente una delle bandpiù influenti della scena punk-rock da fine anni “’80 ad oggi, i quali, per l’occasione, ripropongono integralmente l’album “Suffer”, pietra miliare del ’88, se non addirittura una delle pagine più influenti della storia dell’intera musica punk.

E’ proprio come a scuola, i Bad Religion sono i professori e noi siamo, un buon migliaio di presenze schiacciate sotto il palco, gli alunni.
Questa volta, però, siamo tutti preparati e non abbiamo bisogno dei suggerimenti dei compagni per l’interrogazione imminente.

Mi aspetto un concerto breve, l’album dura meno di mezz’ora e considerando che dietro alle pelli c’è Jamie Miller (batterista anche per i Trail Of Dead), veloce come pochi, ho il terrore che tutto durerà  troppo poco”…e invece!

La band sale e sul palco puntualissima alle 21.30 e per tutta la prima ora non è altro che un susseguirsi di classici sparati uno dietro l’altro.
Sembra l’ora di Educazione Fisica, una specie di preparazione atletica.
Brani come “Fuck You”, “21st Century (Digital Boy)”, “Recipe for Hate”, “Generator”, “Fuck Armageddon”, “American Jesus” e altri(in tutto diciannove brani per la prima parte del set) infiammano il pubblico che risponde urlando, cantando, pogando e soprattutto, alzando le braccia al cielo”…ma è solo l’inizio.

Dopo poco più di un’ora di bombe a mano e di inni sbraitati dalle vecchie e giovani leve che riempiono la location, le luci si abbassano, la band scende dal palco, il classico telo raffigurante lo storico logo della band viene abbassato e sostituito con quello che raffigura la copertina di Suffer, le luci si accendono e”…bam! Inizia l’ora di Storia.

La band torna sul palco ed eseguono tutto l’album da “You are (the Governament)” a “Pessimistic Lines”, in quasi venticinque minuti, senza mai fermarsi. L’interrogazione è iniziata e siamo tutti con le braccia tese, pronti a farci volontari,vorremmo tutti essere sul palco al fianco del professor Greg Graffin.

Un brano dietro l’altro, un susseguirsi di inni e di emozioni, una band storica che non ha perso lo smalto e il tiro, malgrado l’età  avanzata. Ne è chiara dimostrazione lo storico bassista Jay Bantley che, oltre a suonare e cantare, non riesce a stare fermo un secondo.
35 brani in un’ora e mezza, sicuramente una delle lezioni di Storia più belle della mia vita: se tutti i professori fossero così, probabilmente girerebbe meno musica di merda.

Photo: Sven Mandel, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons