Estate decisamente interessante quella italiana per i fan dello shoegaze. La santissima trinità  del genere, ovvero Slowdive, Ride e My Bloody Valentine, arriverà  in tempi e luoghi diversi nel nosto paese. La band di Rachel e Neil sarà  al Siren Festival di Vasto (CH) a fine luglio, i Ride sono attesi all’ I-Days a Milano tra pochi giorni e dio Kevin Shields sarà  il 25 agosto al TOdays Festival di Torino. Spinto da questa cosa e dalla vitalità  (anche in Italia!) del genere, ho deciso di realizzare una mia “top 10 shoegaze” (notare le virgolette, perchè comunque la parola ‘top’ è impropria).
Precisazioni: non è una classifica. Non sono così presuntuoso, come altre testate, di trovare un numero uno. Fate conto che queste canzoni sono tutte numero 1 o numero 10, non mi interessa.
Lo shoegaze è quanto di più stimolante della sensibilità  personale, quindi mai come in questo caso ci tengo a sottolineare che “sono le 10 canzoni che, nel genere, più mi colpiscono e mi colpiscono nel profondo“. Perchè è questo che sa fare lo shoegaze, colpirci dentro, farci vivere un momento fuori dalla realtà  e farci venire la pelle d’oca. La sensibilità  è diversa da persona a persona: queste sono le mie canzoni e sono sicuro che non saranno uguali per tanti altri che , comunque, apprezzano il genere. Ripeto ancora, sono le mie.
Sono tutte canzoni degli anni ’90, quindi quelli che citerò sono gruppi “storici”. Adoro anche il “neo-shoegaze”, ma oggi mi andava di nominare quelle che io ritengo le basi.
Questo è tutto.

Revolver – Heaven Sent An Angel

1991, dall’EP “45”

Mat Flint. Idolo. Canzone superba, con una melodia cristallina a dire poco e un giro di chitarra che…boom..fa il botto. Roba da restare senza fiato. Mi ricordo quando il mio buon amico Claudio mi fece sentire il pezzo la prima volta: da rotolarsi per terra. I Revolver meritavano di entrare nell’Olimpo dello shoegaze. Punto.

My Bloody Valentine – Only Shallow

1991, dal disco “Loveless”

Ma si può commentare un simile capolavoro? No. Bisogna mettersi in ginocchio e ringraziare Dio, cioè ringraziare Kevin Shields. Quando un disco si apre con una canzone simile, beh, è gioco, partita, incontro. Qui c’è tutto quello di cui noi umani abbiamo bisogno: carezze, amore, dolore, sofferenza, batticuore. Più che una canzone, una rappresentazione della vita.

Ride – Dreams Burn Down

1990, dal disco “Nowhere “

Loz che parte con quei colpi sulla batteria e già  ci cattura. Poi arrivano le chitarre, sospese, toccanti, struggenti direi e siamo rapiti per sempre. In un disco che ha fatto storia è difficile scegliere un brano, eppure “Dreams Burn Down” è una canzone che ho fatto subito mia fin dal primo ascolto. Quando ci sono le esplosioni soniche faccio sempre un sobbalzo, anche dopo tanti anni e tantissimi ascolti.

Chapterhouse – Falling Down

1991, dal disco “Whirlpool “

Si lo so, c’è “Pearl”, ci sarebbe pure “Breather”…eppure io, degli immensi Chapterhouse, adoro questa pazzesca “Falling Down”. L’adoro perchè c’è tutto quello che li caratterizzava: il groove quasi madchesteriano, la chitarra acida, il ritornello iper-melodico che ci porta in paradiso, il manto shoegaze che avvolge il brano. Tutto in una canzone. Tutto li in 4 minuti. Andrew Sherriff e Stephen Patman andrebbero beatificati. E, vi dirò, “Blood Music” andrebbe pure rivalutato.

Slowdive – When the Sun Hits

1993, dal disco “Souvlaki “

Sweet thing, I watch you Burn so fast it scares me. My game, please don’t leave me Come so far, don’t lose me It matters where you are“. E poi partiva il vento onirico. No vabbè, roba visionaria. Lasciarsi prendere per mano e farsi condurre nell’incanto. Facevano questo gli Slowdive con noi, che ci affidavamo a loro per perderci completamente. Lo abbiamo fatto e lo faremo ancora, per sempre…

Lush – Sweetness and Light

1990, dall’EP “Sweetness and Light”

Potremmo dire che “Sweetness and Light” è più vicina al dream-pop, non sarebbe sbagliata come affermazione, ma sta di fatto che la magia di questo pezzo è da brividi. c’è una trama chitarristica magnifica che mi ha sempre affascinato e una voce così impalpabile che pare il canto delle sirene di Ulisse: resistere è impossibile. Adoro poi il sottile climax ascendente della canzone che, andando avanti, acquista in modo sempre più graduale un peso specifico più corposo. Applausi.

Pale Saints – Throwing Back the Apple

1992, dal disco “In Ribbons “

“In Ribbons”. Lo ripeto. “In Ribbons”. Che disco! Che ispirazione. Una sensibilità  più inica che rara per questi ragazzi, che definire solo shoegaze sarebbe un delitto, visto le tante sfaccettature presenti nel loro sound. “Throwing Back The Apple” apre il tutto con un impatto melodico pazzesco. Ian Master è all’apice: voci carezzevoli, la ritmica che spinge, l’assolo finale di chitarra. Roba d’altissima scuola.

Blind Mr. Jones – Disneyworld

1994, dal disco “Tatooine “

Guai a chiamarli gruppo di serie B. I cari Blind Mr. Jones, a mio avviso, se la sono sempre giocata alla pari con i Ride, con quella punta di psichedelia poi e il flauto, che dava un tocco ancora più forte e personale al tutto. “Tattoine” non è forse alla pari dell’esordio, ma questa “Disneyworld” mi è sempre piaciuta tantissimo. Fresca, immediata, molto Ride e molto pop. Un pezzo che mi porto dentro da sempre.

Drop Nineteens – Winona

1992, dal disco “Delaware “

Quando tutto fila alla perfezione. Chitarre e melodia che s’incastrano come un puzzle perfetto. Succede questo in “Wynona” dei ragazzi di Boston. Voce chiara e questo tiro che mi lascia sempre addosso un senso di malinconia. Mi vengono i lacrimoni ad ascoltare questo brano. Una canzone favolosa, allora come adesso. E poi in “Delaware” c’è pure la cover della mia canzone preferita di Madonna. Che Dio sia lodato (si certo, è sempre Kevin, che pure per i Drop Nineteens era punto di partenza e di arrivo).

Adorable – A to Fade In

1993, dal disco “Against Perfection”

La mia canzone preferita degli Adorable resta “Homeboy”, anzi, quella è la mia canzone preferita di sempre, quindi va oltre il concetto di shoegaze o quant’altro. Qui però la tenzione emotiva mi distrugge. Una canzone straziante, un grido disperato per non cadere nell’oblio. Il sound, debitore degli House Of Love, si sublima nell’esplosione sonica e davvero lo shoegaze assume capacità  catartiche, come dicevo nell’introduzione, in grado di tocare le corde più profonde e personali. “I don’t want to be faded skin. I don’t want to fade out. I want to fade in” e poi il mondo intorno a noi cambia completamente nel riverbero…

BONUS TRACK: Secret Shine – Loveblind

1993, dal singolo “Loveblind/Way Too High”

Meno male che c’è il trucchetto della ‘Bonus Track’, perchè lasciare fuori i Secret Shine sarebbe stato un vero delitto, con “Loveblind” poi, che è canzone dall’altissimo tasso di splendore. Già  il disco “Untouched” è da 10 minuti d’applausi, poi ti arriva questa “Loveblind” che viaggia altissima, inafferrabile e splendente. Il cantato su questo tappeto di vocalizzi e chitarre, il ritornello dalla melodia trionfale, la batteria che picchia. Se questo non è il paradiso allora ditemi voi cosa potrebbe esserlo?