Nonostante il titolo possa far pensare ad un album incentrato sulla fine struggente di un amore, “Love is Dead”, terzo album in studio per i CHVRCHΞS invece, ruota attorno alla morte dell’empatia della società .

Il trio scozzese composto da Lauren Mayberry, Martin Doherty, Iain Cook, in questo disco è passato dalla spontaneità  degli esordi di un sound synth-pop dalle marcate atmosfere elettroniche, ad uno in cui la pianificazione del suono in favore di logiche più orientate ai gusti dell’attuale panorama musicale elettro-indie. Nel disco ci sono alcune buone idee, testi ed arrangiamenti giusti, quindi è un peccato che i CHVRCHΞS si siano spesso contenuti, indebolendo ancor di più le liriche (per cui non hanno mai spiccato), che in questo progetto accennano solamente (o almeno ci provano) ad una vaga profondità , favorendo strutture melodiche ripetitive, troppe volte oltre l’accettabile. Tuttavia i tre sono da apprezzare quando affrontano i vari caos personali – o politici – addolcendoli con melodie zuccherine. Stanno lasciando corpi nelle trombe delle scale e lavandosi sulle rive, canta Mayberry in “Graves”, una delle canzoni più interessanti del disco, dedicando, ad un tema attuale e di difficile esposizione come la crisi dei rifugiati, una colonna sonora perfetta. Nonostante ciò, Love is Dead appare fatalmente dipendente da suoni di synth troppo uniformi e da voci eccessivamente elaborate.

Il singolo “Get Out”, brano che parla di misoginia e abusi nei confronti delle donne, è un pezzo lucido, accattivante e ottimista, ma è anche incredibilmente fastidioso nella parte in cui il coro ripete il ritornello una dozzina di volte, come un martello pneumatico che sbatte meccanicamente su un marciapiede. “Graffiti” offre un’immagine vibrante e concreta di adolescenti che scarabocchiano le loro emozioni sulle pareti del bagno, vivida metafora della precarietà  del futuro di una generazione; un ritornello in ascesa che è al tempo stesso vivace e malinconico su versi ricchi di promesse e follia che caratterizza gli amori giovanili. Tracce spesso ricche di ovvietà  e ripetizioni paralizzanti come in “Never Say Die”, “Forever” e “Deliverance”, finiscono per svanire sullo sfondo, nonostante lavorino duramente per incorporarsi nella psiche dell’ascoltatore e in alcuni casi ci riescono pure. “Miracle”, ad esempio, inizialmente appare come uno dei brani più promettenti del disco, ma finisce per addentrarsi nei meandri peggiori del suono proprio quando i bassi calano, facendolo risultare meno allettante.
Aspettative deluse anche per “My Enemy” che vede Mayberry duettare con Matt Berninger dei National. Nonostante entrambi abbiano delle voci di tutto rispetto, il risultato è di una qualità  insopportabile, dove i due cantano come se stessero esibendosi in assoli spassionati in un coro del liceo, su una canzone noiosa e dal ritmo anemico e pigro.

è solo verso la fine dell’album che arriva una gradita leggerezza. Le strutture melodiche si allentano su “God’s Plan” e “Wonderland” e “Heaven / Hel”l, tutti legati a linee di basso degne dei New Order e dove all’euforia del suono si aggiunge anche un’apprezzabile vocalità .
“Love Is Dead” è una raccolta di canzoni basata su premesse e temi grandiosi, ma senza che questi abbiano una direzione chiara nè una prospettiva nitida e precisa. Il risultato, aimè, è un album nebuloso e impersonale, dove il dolore e la sofferenza restano mestamente confinati nel titolo presente sulla copertina dell’album.

Credit Foto: Eliot Hazel