I Big Cream sono tre ragazzi del 93, vengono dalla provincia bolognese (Zola Predosa per chi ama i particolari) e fanno quello che dovrebbero fare tutti i ragazzi della loro età : trovare uno strumento più o meno adatto alle proprie capacità  e gusti, mettersi insieme (in modo logico), trovare una cantina o un garage (procurarsi i famosi contenitori per uova, senza mangiarne un numero esagerato per non sollecitare troppo il fegato, che, povero organo, ha già  il suo lavoro nello smaltire sostanze alcoliche di varie forme e natura) ed iniziare a comporre qualcosa di nuovo dopo, ovviamente, aver provato in saletta qualche riff di chitarra o qualche giro di basso che qualche gruppo o artista ha già  reso famoso. Bene, anzi non troppo perchè quasi tutti i ragazzi non ci pensano neppure di formare una band preferendo vivere la musica in modo passivo. A Matteo Veggetti, Niccolò Ruggeri e Riccardo Pantalone invece, di essere passivi non gli va proprio. Vivere in un piccolo paese non è di certo un ostacolo se hai voglia di fare musica.

Dopo un EP pubblicato nel 2016 (“Creamy Tales”) il trio bolognese (classica formazione chitarra-basso-batteria) debutta sulla lunga distanza con questo “Rust” che contiene nove brani da ascoltare a ‘massimo volume’. (Tanto per restare dalle parti di Bologna).
Vanno giù duri sin dall’inizio, ci troviamo richiami ai Green Day prima maniera, tanto grunge, Nirvana in primis, atmosfere alla Dinosaur Jr.
Testi in inglese cantati con quel pizzico di inevitabile insicurezza: la sensazione è quella di un tentativo di imitare qualcosa che già  esiste ma che non ci appartiene, vengono meno credibilità  e pathos. Credibilità  e pathos che invece non mancano sotto l’aspetto della performace musicale che vede il trio molto affiatato, disinvolto e con buone idee, come il veloce intro di “Peanuts”, l’energia di “Cannon Fuse” o il bel finale di “Gatlin”.

Un appunto sull’intonazione: anche se il genere si presta ad una non precisa interpretazione vocale in alcuni pezzi risulta troppo accentuata e la stonatura troppo percepibile. In questi casi l’ascolto non è piacevole.  Un cantato poco intonato, anche se voluto, può essere tranquillamente accettato in una esibizione live dove l’impatto principale è lasciato ai volumi e soprattutto all’energia che il gruppo sa proporre e trasmettere in dosi massice, qui non ci piove, ma ascoltate su disco queste imperfezioni lasciano un po’ perplessi.
I Big Cream possono festeggiare l’uscita di quest’album, è un ottimo punto di partenza. Si divertono e faranno sicuramente divertire. Hanno anche ampi margini di miglioramento come è giusto che sia per un gruppo giovane e formato da giovani.

Una frase di una canzone degli Smiths spesso mi torna  alla mente:   è il pezzo dove Morrissey canta: “…But don’t forget the songs that made you smile and the songs that made you cry..“.
La sfida è proprio questa: lasciare il vecchio bagaglio con la “tonnellata di camicie a quadri o non a quadri ma rigorosamente trasandate” ed iniziare a riempirne uno vuoto con camicie colorate, a quadri, a fiorellini gialli ma tutte rigorosamente griffate Big Cream…(But don’t forget the songs that made you smile and the songs that made you cry…).