Il 2017 è stato probabilmente l’anno più difficile della carriera dei Dirty Projectors. Reduci da due album (“Bitte Orca” e “Swing Lo Magellan”) che gli avevano dato un po’ di quella notorietà  che meritavano dopo anni di onorata carriera, sembravano ormai aver trovato una loro dimensione e stabilità . Invece è accaduto l’imprevisto: la fine della love story tra Dave Longstreth e Amber Coffman, l’allontanamento di tutti i membri della band (Coffman inclusa) con il solo Longstreth rimasto al timone di un progetto che sembrava ormai arrivato al capolinea. “Dirty Projectors”, uscito lo scorso anno, era praticamente un disco solista di Longstreth, capitano ferito e furioso che cercava di trovare un senso all’ammutinamento degli amici di una vita (e ancora ci sta provando a giudicare dalla copertina di questo disco, che richiama fortemente quella di “Bitte Orca”).

“Lamp Lit Prose” è un nuovo inizio, con nuovi compagni di viaggio (della line up storica è rimasto solo Nat Baldwin al basso con Mike Johnson che passa dalle percussioni alla batteria sostituito in studio dal percussionista Mauro Refosco) e l’umore di Longstreth sembra decisamente migliorato ora che ad accompagnarlo sono Felicia Douglass (percussioni e voce) Maia Friedman (chitarra e voce) e Kristin Slipp (tastiere e voce). Sono tanti gli ospiti che danno una mano ai Dirty Projectors in questo quinto album: Syd (voce dei The Internet e membro degli Odd Future) HAIM, Robin Pecknold dei Fleet Foxes, Rostam (ex Vampire Weekend) Lorely Rodriguez (Empress Of), Amber Mark, Katy Davidson dei Dear Nora. In pratica un bignami del mondo indie di ieri e di oggi.

Le tante collaborazioni rendono “Lamp Lit Prose” un disco spigoloso, pieno di effetti (il Wurlitzer geneticamente modificato di “Break-Thru”, il ritornello di elettronico di “Right Now”) di melodie inaspettate e dei “soliti” testi obliqui e stravaganti di Mr.Dave Longstreth (probabilmente l’unico uomo al mondo a tessere le lodi di una donna citando Archimede, Julian Casablancas e Fellini). Le chitarre nervose di “That’s a Lifestyle” (con le sorelle Haim ai backing vocals) lasciano presto il posto al funk di “I Feel Energy” (chiaro omaggio a Prince come lo è “What Is the Time” del resto, anche se cita David Bowie) all’energia sgangherata di “Zombie Conqueror”, al pop senza barriere di “I Found It in U”. Longstreth si riscopre folk man d’eccezione in “You’re the One”, costruendo gran belle armonie vocali con Robin Pecknold e Rostam Batmanglij prima di salutare con l’elegante “(I Wanna) Feel It All”.

Le canzoni dei Dirty Projectors sono sempre state difficili da definire: lineari e semplici solo in apparenza, in realtà  con tante sfumature che si notano solo dopo ripetuti ascolti. “Lamp Lit Prose” non fa certo eccezione, muovendosi tra fiati che si rincorrono da un brano all’altro (grintosi in “Right Now” e molto soul in “Blue Bird”) in un disordine pazzo e creativo. Ormai è ufficiale: la band di “Swing Lo Magellan” non abita più qui. Sono nati dei nuovi Dirty Projectors, meno intensi di quelli che conoscevamo e ricordavamo (l’assenza di Amber Coffman e Angel Deradoorian si sente, inutile negarlo). Diversi ma comunque capaci di giocare con note e stili musicali in piena libertà  in un disco curioso, fresco, divertente e incredibilmente ottimista.

Credit Foto: Jason Frank Rothenberg