Ci augura buon viaggio la cara Melody Prochet e, sinceramente, un giro con la nostra francesina ce lo faremmo volentieri un po’ tutti, deliziosa com’è, ma sui viaggi musicali, ecco, magari ci pensiamo un attimo.

L’esordio, che risale ormai a 6 anni fa, era incanalato sulle linee guida Tame Impala (produceva Kevin Parker, non a caso) + anni ’60 con un bel mood visionario, ora bene o male siamo sempre li, ma i pezzi si sono fatti più lunghi (ma per fortuna il disco è breve) e c’è una necessità  quasi forzata di creare spesso dei collage musicali che, in alcuni tratti, si fanno più che forzati, anche perchè se speriamo che sia la voce della nostra a fare da collante, beh, stiamo freschi. Certo, qui dentro ci stanno 6 anni di spunti, idee, registrazioni e l’idea forse era proprio quella di condensare il tutto, ma certi pasticci come “Desert Horse” facciamo proprio fatica a sentirli.

Sta di fatto che tra Stereolab in versione dream-pop, folk, lounge, retrò, space-pop e Bacharach in salsa easy qui il campionario della nostra fanciulla è ben presente, ma occupa tutto il tavolo e pure in modo disordinato e a noi compratori, che dovremmo essere conquistati da chi ci presenta la merce, la cosa da un po’ fastidio.

Non tutto è da buttare, una “Breathe In, Breathe Out” potrebbe quasi uscire dalla penna di Martin Carr dei Boo Radleys, ma il resto è davvero non particolarmente memorabile.