31 agosto, gli intercity pubblicano “Laguna”: un doppio album, 22 canzoni, 80 minuti.

Una coraggiosa uscita, sia per la scelta del doppio album, sia per la data, pronta ad aprire un mese duro, stanco, a ridosso degli strascichi estivi, tra hit radiofoniche e un autunno fin troppo imminente, quando “giorni stanchi e assonnati diventano routine” (“Notturno”) e “il giorno in bianco e nero pensieroso è”, ma “cosa vuoi di più [“…] un’orgia di colori sempre e solo in fondo al mare blu” (“Ufos”), magari sperando che “l’autunno uggioso incontri l’armonia” (“L’indiano”).

Tralasciando le citazioni, i fratelli Campetti hanno sempre fatto di testa loro, scelte comode o scomode poco importa, un doppio album avevano in mente e un doppio album hanno fatto, che sia questo l’essere indie di cui sembrano oggi tutti essersi cuciti addosso lo stemma?

Certo è che “Laguna”, data forse la sua lunghezza, è un album complesso e impegnativo, ma necessario. Necessario perchè in una società  con una soglia di attenzione minima, dove le nuove leve della musica italiana escono con una manciata di canzoni da una mezz’ora totale al massimo, pronti ad essere sostituiti dalla prossima next big thing, il doppio degli intercity rimette la musica al centro, rompendo gli schemi. Durante i primi ascolti non emerge questo lato e chi scrive se n’è reso conto dopo alcuni ascolti, immagazzinando il tutto a più riprese con l’idea che forse la scelta non è del tutto sbagliata, anzi. Pochi sono gli esempi di doppi album nell’ultimo periodo, a memoria si possono citare i due volumi dei Baustelle (“L’amore e la violenza vol.1, vol.2”) e “Cosmotronic” di Cosmo, sebbene quest’ultimo abbia una concezione precisa come doppio album.

Prima dell’uscita definitiva dell’album, gli intercity hanno pubblicato singoli e video annessi: “Zenith”, “Un Poster”, “L’indiano”, “Joshua” e “Notturno”, con i primi più elettronici per arrivare al singolo estivo, “Veracruz” decisamente pop, il più radiofonico dell’album insieme a “Le piante di canapa”. Questi due brani non rientrano tra i brani più significativi dell’album, ma stupiscono in mezzo ai restanti per l’immediatezza, rimangono in testa e sono scanzonati quanto basta per non cadere nel già  sentito.

Le 22 canzoni di “Laguna” trasmettono sonorità  diverse, sebbene emerga, in parte, la scrittura dei brani dilatata nel tempo, con alcune canzoni che, estremizzando, si somigliano un po’ (inevitabile, del resto), ma la cosa passa in secondo piano: tutto il doppio album sembra connesso da un fil rouge emozionale che parte dalla straniante “Notturno” fino ad arrivare alla ballad “Periferie”, con la tastiera che strizza l’occhio alle tendenze itpop, ma con gli archi a dargli ancora più qualità .

Da una parte la musica regala vaste sonorità  grazie anche ai numerosi ospiti che hanno contribuito alle varie parti: archi e fiati fanno fare il salto di qualità  al tutto, notevoli i mix di chitarre e basso, con la chitarra che passa dalla distorsione a timbriche acustiche con personalità  e le linee di basso che meritano una menzione particolare sui riff di “Joshua” e “Limbo”, che sebbene possano sembrare “semplici”, funzionano e danno carattere ai brani. Dall’altra i testi arrivano, rendono reale l’immaginario solo descritto e molti lasciano una vena malinconica che accompagna gran parte dell’album. “Per un pochino di spazio” è un pugno nel petto: “In fondo appena sveglio mi vesto con doppio petto e papillon annesso, per una festa a effetto, col trucco sopra gli occhi, per un pochino di spazio, tra luci di cristallo io ti amerò convinto, senza sembrare spettro”: dietro la facciata si nascondono i mostri.

Soffermandosi sulla divisione dei due album e la scelta della scaletta, si nota come le prime undici canzoni siano più ricche di singoli e regalino un immaginario in viaggio, tra richiami interstellari con “Ufos”, “Zenith”, “L’Apollo” e a paesi reali con “Microcosmo”, “Madrid” e “Veracruz”; le seconde undici sono più intime, meno elettroniche, tendenzialmente, ma con una presenza importante di tastiere e archi e il basso spesso in primo piano (“Argo”, “Scatto Fisso”). Spiccano in questa seconda parte “R.A.T.M.” che ricorda vagamente i Metronomy di “The English Riviera”, “Limbo” e la voce strozzata in “Sparta” che con gli archi crea uno stato di tensione che tiene costantemente in stallo.

“Laguna” ha personalità , mai banale, mai scontato; gli intercity hanno scommesso su un album maturo per un pubblico maturo anch’esso, probabilmente e affamato di qualità , facendolo scontrare in brani che fanno riflettere, che non si perdono nelle quantità  di tachipirina da assumere.

Se la scelta coraggiosa sia stata giusta o sbagliata poco importa. Le canzoni meritano tutte e settembre, alla fine, non sarà  poi così male.