Anche nelle migliori famiglie come IFB ci sono pareri discordanti su certi dischi. Di solito ci fidiamo e accettiamo il verdetto del nostro recensore, ma per certe uscite molto importanti e in grado e di dividere la critica, abbiamo pensato a un diritto di replica, una seconda recensione che potrebbe cambiare le carte in tavola rispetto alla precedente. Voi scegliere quella che preferite “…

VOTO OTHER SIDE: 5
Leggi la recensione positiva di “Egypt Station”

Il Village Voice ha chiuso i battenti e la magazine-sfera tutta non se la passa alla grande, ma allo stesso tempo i personaggi diventati leggenda, sulle pagine di queste riviste, rimangono attuali.

Un esempio lampante e calzante è Sir Paul McCartney.

Paul McCartney, non contento della sua eterna giovinezza fa di più, pubblicando “Egypt Station”, 17-19esimo album (in base a come vengono considerate alcune uscite) da solista di una carriera proficua anche post-Beatles.

Chiarisco subito: personalmente apprezzo la scelta di non svernare in poltrona, ma rimanere in attività  anzi “Egypt Station”, proprio perchè non è quello che mi aspettavo, ha dato il via ad una riflessione che solamente un disco importante, aspettato e di un artista fondamentale può farti fare.

A emergere, come un fiore selvatico, è questo scontro donchiscottesco tra l’attitudine di Paul ad essere ancora produttivo e un suono che orma si adagia in modo compassato: probabilmente la regia, in cabina di produzione, a Kanye West, che si era proposto, avrebbe acceso qualche dissidio interno al disco, rendendolo meno prevedibile.

Il lessico, musicale e testuale, usato in alcuni brani come “Fuh You”, ricalca in modo piuttosto becero il pop alternativo degli ultimi anni e fa rimanere tutto abbastanza in superficie. Manca un approccio seriamente speculativo e cantautoriale, che probabilmente ci aspettavamo dall’ autore che ha scritto il 37,7% circa dei brani del quartetto di Liverpool.

Una buona traccia però per ricercare un estremo tocco di sincerità , che complessivamente manca al disco, è “Happy With You”, in cui il beatle parla dei suoi problemi, apertamente e nonostante la linea di chitarra acustica leggermente compassata, una canzone come questa ci spiega chiaramente che “Egypt Station” poteva essere tante cose e alla fine ha deciso di essere la cosa più scontata e senza vitalità .

Tutti noi abbiamo apprezzato, o almeno siamo stati divertiti, dalle sue comparsate al Carpool karaoke o dalle interviste brillanti in cui ha raccontato delle dolci intimità  di gruppo insieme agli altri Beatles.

Le bellissime scenette che Sir Paul ci ha regalato hanno tuttavia legato (ancora una volta) indelebilmente e eccessivamente questo disco al passato, che seppur fondamentale per capire le sfumature della discografia di McCartney, non deve rappresentare un ostacolo alla ricerca sonora e personale.

Le scelte eccessive e spinte in brani come “Hunt You Down / Naked / C-Link”, sono le più giuste e anzi rappresentano un vero valore, invece il problema della stazione egiziana è nel capolinea di “People Want Pace”, classicone pezzo del buonsenso quotidiano.

Sarebbe utile pensare, quando si sta per scrivere un brano che critica la società  o il politico di turno, leggere le parole di Alexandra Hamilton, che dice in tono schietto: “Can a political society really be governed by reflection and election, by reason and truth, rather than by accident and violence, by prejudice and deceit?“, alla luce di questo: abbiamo ancora bisogno dell’ennesima sagace canzone sulla pace nel mondo? Siamo ancora convinti di poter modellare una società  complessa con una canzone, peraltro brutta?

Un disco del genere è comunque ulteriore benzina per far drizzare i peli (o altro a discrezione dell’utente) a chi già  ama McCartney, anzi molti sono pronti per l’ennesima volta a definirlo come un genio eclettico, ma “Egypt Station” forse ha poco a che vedere con le qualità  di un provetto camaleonte e piuttosto si riduce ad un riciclo, che in alcuni casi riesce, in altri no.

Paul McCartney è più di questo e sono certo che il suo ruolo, musicalmente parlando, sia quello di essere ancora un artista attivo e prolifico, ma dallo spessore della sua opera magna, è lecito aspettarsi, ancora oggi, qualcosa in più?