Jessica Einaudi abbandona l’etichetta J Moon per presentarsi con il suo vero nome e lo fa in un disco in cui mette a nudo una fragilità  e una dicotomia che, penso, siano propri dell’essere umano, capace tanto di abbracciare la luce quanto il buio.

L’oro di cui parla Jessica si trova spesso nell’oscurità , in quello spazio in cui non servono tanto gli occhi per mettere a fuoco, quanto il cuore (“L’essenziale è invisibile agli occhi” è una frase vera e magnifica) e questo significa che, in primis non dobbiamo fermarci alle apparenze, ma sopratutto che c’è una forte compartecipazione personale nel percepire ciò che è bello e da piacere (oro) e ciò che ci infonde timore (il buio), perchè spesso si mescolano.

Morbide e suggestive canzoni impregnate tanto di synth che dilatano il suono, quanto di piano e organo. L’intento è quello di portarci in un mondo quasi superiore, irreale, in cui i sogni sono i padroni del nostro sentire. Un mondo quasi “lynchiano” verrebbe da dire, in cui perdersi in labirinti affascinanti ed eterei. La dolce e incantevole voce di Jessica è l’elemento guida, il filo di Arianna che ci permette di trovare la via maestra e non sentirsi persi, fondamentale e salvifica. Federico Albanese, che ha collaborato con la stessa Jessica all’album, entra in simbiosi con l’artista milanese (da tempo a Berlino però) per lavorare in sottrazione e non certo in aggiunta: è il nocciolo del brano che emerge, l’anima scarna e pura della melodia e toccarla con mano è sensazione assolutamente piacevole.

Se la Goldrapp più avvolgente e meno danzereccia pare essere elemento con cui confrontare il sound, c’è da dire che la delicatezza e l’insicurezza di Jessica che emergono sono spontanee e assolutamente personali e questo non può che essere il vero valore aggiunto all’opera.