Massimo rispetto per gli Uriah Heep. A quasi mezzo secolo dal loro fulminante debutto con il notevole “…Very ‘Eavy …Very ‘Umble”, la band guidata dal chitarrista Mick Box (unico superstite della formazione originale) continua a dare alle stampe album di ottimo livello con invidiabile frequenza. Tagliare il traguardo dei venticinque dischi con un lavoro come questo “Living The Dream” ha però davvero del miracoloso, perchè da cinque signori la cui somma delle età  supera abbondantemente i trecento anni non ti aspetteresti mai una simile carica e una capacità  tanto spiccata nel riuscire a reinventarsi di brano in brano. E tutto questo senza abbandonare neanche per un istante il sentiero di quel robustissimo hard rock pieno zeppo di sopraffine armonie vocali e organi Hammond che ormai percorrono a occhi chiusi.

A tirare a lucido gli Uriah Heep ci pensa l’esperto produttore Jay Ruston, in passato dietro la console per gente del calibro di Black Star Riders, The Winery Dogs, Stone Sour e Sons Of Apollo. Anche in questo caso, il buon Ruston si dimostra un vero e proprio maestro nel riuscire a unire stili antichi a sonorità  moderne: se tutti i dischi hard rock pubblicati recentemente uscissero dalle casse con la potenza e la nitidezza di questo “Living The Dream” potremmo dire di essere testimoni di una nuova epoca d’oro per un genere che troppi gufi danno per morto e sepolto da decenni.

Pensare che per cambiare idea gli basterebbe andare ad ascoltare una qualsiasi delle dieci nuove tracce firmate da Box e compagni: i riff incredibilmente tortuosi eseguiti all’unisono da chitarra, basso e tastiere su “Grazed By Heaven” e “Rocks In The Road” sarebbero in grado di far dondolare la testa anche a coloro che per qualche strano motivo trovano indigesto il genere.

Nel ritornello a presa rapida del bel singolone “Take Away My Soul” riemergono ombre di un non troppo lontano passato AOR che gli Uriah Heep del 2018 vogliono provare a dimenticare. Per farlo decidono di pestare più duro di quanto probabilmente non abbiano mai fatto in cinquant’anni di onorata attività : lo shuffle indiavolato di “Goodbye To Innocence” e il vertiginoso assolo di Mick Box (col wah wah naturalmente, da sempre suo marchio di fabbrica) di una “Knocking At My Door” che trasuda Deep Purple sin dal titolo (ricordate “Knocking At Your Back Door”?) renderanno felici i fan più affezionati al vecchio metallo di scuola britannica.

Ma che razza di album degli Uriah Heep sarebbe senza quintali di melodie epiche da cantare in coro (“Living The Dream”, “It’s All Been Said”), ballatone country rock alla “Lady In Black” (“Waters Flowin'”) e un Phil Lanzon come al solito sugli scudi, con il suo rovente organo Hammond a rubare costantemente la scena ai compagni? Qui troverete tutto questo e anche qualcosina in più, tipo il fomentatissimo esperimento prog/power di “Falling Under Your Spell”.

Carissimi Uriah Heep, considerando le ottime condizioni di salute non resta altro che augurarvi di continuare a vivere ancora a lungo questo vostro sogno. E non fatevi passare per la testa l’idea di annunciare qualche inutile tournèe di addio: vogliamo vedervi sul palco anche quando al vostro fianco non ci saranno più bottiglie di Jack Daniel’s ma sacche del catetere.