è dal lontano 1969 che Dave Brock e la sua leggendaria astronave Hawkwind girovagano per l’universo seguendo percorsi sempre assolutamente imprevedibili. Ancora oggi, dopo quasi mezzo secolo di carriera e la bellezza di trenta album dati alle stampe, i padri nobili dello space rock continuano a mostrare un certo gusto nello spiazzare gli ascoltatori con opere lontane anni luce dal corposo suono psichedelico/fantascientifico che all’epoca li rese celebri grazie a classici quali “In Search Of Space”, “Doremi Fasol Latido” e “Space Ritual”.

Il flirt con la new wave e il post-punk nel periodo tra “Quark, Strangeness And Charm” e “25 Years On” (pubblicato a nome Hawklords) è ricordato con affetto da molti; decisamente meno apprezzati, e non senza qualche ragione, gli esperimenti metallici di “Sonic Attack” e quelli elettronici di “Church Of Hawkwind” e del recente “The Machine Stops”.

Detto in parole povere: le sorprese sono all’ordine del giorno quando si parla degli Hawkwind. Eppure questo “Road To Utopia” è stravagante persino per gli standard di un personaggio della stoffa di Dave Brock. Innanzitutto perchè di brano inedito in scaletta ce n’è solo uno: gli altri otto non sono altro che originalissime riletture in chiave acustico-orchestrale di canzoni ripescate dal ricchissimo repertorio degli Hawkwind. Per dare una mano con i nuovi arrangiamenti è stato chiamato il compositore Mike Batt, in patria noto soprattutto per aver militato in un gruppo demenziale chiamato The Wombles.

Negli anni settanta, mentre Brock e soci incendiavano i palchi di mezzo mondo con la giunonica spogliarellista Stacia Blake e le sue danze conturbanti, Batt indossava ridicoli costumi in stile Teletubbies e suonava appiccicose canzoncine bubblegum pop. Ora che le loro strade si sono incrociate, cosa dobbiamo aspettarci? Semplicemente tante, ma proprio tante piacevolissime stramberie. L’obiettivo principale sembra essere quello di svecchiare e “depsichedelizzare” il sound degli Hawkwind, avvicinandolo il più delle volte a una sorta di pop barocco assai british che poco o nulla ha a che spartire con quanto fatto in precedenza dal gruppo.

>Sembrerà  strano, ma il risultato finale è decisamente interessante. Influenze latine e fiati mariachi trasformano “Quark, Strangeness And Charm” in una festa a tema sci-fi/cubano. L’inconfondibile chitarra di Eric Clapton infonde linfa blues rock alla psichedelica “The Watcher”, l’unica traccia a firma Lemmy Kilmister (che della creatura brockiana fu bassista nel periodo d’oro) contenuta in “Doremi Fasol Latido”. Decisamente un bell’omaggio all’indimenticato leader dei Motörhead scomparso nel 2015.

Restando ancora in tema claptoniano, è impossibile non notare qualche vago richiamo al capolavoro folk “Can’t Find My Way Home” dei Blind Faith in “We Took The Wrong Step Years Ago” (l’originale, decisamente più movimentata, la trovate su “In Search Of Space”). Nelle mani di Mike Batt il post-punk acido di “Flying Doctor” diventa un vivacissimo shuffle e “Psychic Power” un mix tra Dire Straits e Madness. L’unica traccia scritta appositamente per “Road To Utopia” è la delicatissima e sognante “Hymn To The Sun”, uno splendido strumentale che fa ben sperare per il futuro degli Hawkwind.

Non che il presente sia avido di belle scoperte: il trittico finale dell’album – composto da “The Age Of The Micro Man”, “Intro The Night” e “Down Through The Night” – ci regala sontuosi interventi di fiati e archi che si sposano alla perfezione con le trame acustico-spaziali di Dave Brock. Davvero un bel divertissement, non c’è che dire.