L’Hip Hop è uno di quei generi musicali che in Italia è sempre arrivato trasversalmente e tutt’ora le notizie estere in primo piano interessano a una piccola, seppur consistente e interessata, fetta di ascoltatori. In molti si chiedono quali articoli o libri abbia scritto Kendrick Lamar per vincere il premio Pulitzer nel 2018, sebbene il premio preveda anche una sezione dedicata alla musica – che, a quanto pare, sembra avere un peso minore, forse perchè interessa autori “classici” o jazz, e per questo in America la vincita di Kendrick ha suscitato scalpore -. Altri hanno captato il nome di XXXTentacion nei telegiornali perchè vittima di omicidio. Tupac nome sconosciuto ai più e Snoop Dogg oggi più famoso per la gif mentre balla (a ritmo di “Drop It Like It’s Hot”) e per il meme Thug Life preso dalla canzone di Dr. Dre, The Next Episode insieme, appunto, a Snoop Dogg, Kurupt e Nate Dogg.

Alla fine, però, non è neanche giusto attribuire la “colpa” all’ascoltatore medio, in molti hanno provato a inserire il genere nel contesto italiano, spesso riuscendoci, nella speranza di ottenere interesse nei confronti degli originali, se vogliamo definirli tali, ma non è entrato ancora nella mentalità , basti pensare che Eminem si è esibito nel nostro paese per la prima volta solo quest’anno.
Suonerà  strano, ma anche negli Stati Uniti l’Hip Hop ha trovato enormi difficoltà  a entrare nelle case, nelle radio e nelle orecchie degli americani: nato come genere nero, ha preso piede grazie ad ibridazioni e protagonisti che hanno sfondato preconcetti e barriere di un genere nato dal ghetto e finito su MTV.
Luca Roncoroni, redattore di Sentireascoltare, Mucchio, Noisey Italia e Impatto Sonoro, ha puntato forte su questo: sull’ibridazione dell’Hip Hop, sulla sua pop-izzazione e sulla scalata al successo nel libro “Hip Pop. Metamorfosi e successo di beat e rime”, edito da Arcana e uscito lo scorso giugno.

L’approccio non è una classica storiografia del genere, anche perchè per quello ci sono numerosi saggi, pubblicazioni e documentari che ben presentano e ne testimoniano le dinamiche (tra i tanti si possono citare il docu-film Numero Zero. Alle origini del rap italiano di Enrico Bisi o la serie “Hip-Hop Evolution” su Netflix), quanto un focus su concetti e punti fondamentali per capire come siamo arrivati oggi ad avere così tanto Hip Hop in classifica e come mai in America è da anni al centro dell’attenzione, arrivando, come detto precedentemente, ad avere uno dei suoi protagonisti più significativi con il Pulitzer in bacheca.
Il libro inizia forte trattando l’ibridazione tra generi con uno dei primi incontri-chiave con il rock grazie all’incrocio tra Aerosmith e RUN DMC in “Walk This Way” (e la relativa rottura del muro nel videoclip); non è solo un crossover tra generi, ma anche tra bianchi e neri. Se fino a quel momento l’Hip Hop era roba da neri, adesso inizia a farsi largo tra i bianchi americani, insinuandosi tra le certezze della borghesia e creando crepe difficili da sanare. Proprio a un bianco tocca l’arduo compito di aprire le danze all’incontro tra le due culture (ragionandole diverse, banalmente, in quanto una proveniente dalle zone degradate della città , dal ghetto, l’altra più benestante, se non benpensante), e non è la cosa più semplice da fare. Un ragazzino cresciuto nella 8 Mile di Detroit (sì, quella di American Jewelry, il programma televisivo su DMax, quello di «Mio figlio poteva morire!! ») si trova a confrontarsi con una realtà  fatta di tossicodipendenza, povertà  e rancore. Il suo nome è Marshall Bruce Mathers III, ormai quasi noto allo stesso livello del suo pseudonimo, Eminem. Inutile ribadire la sua importanza nel genere, Luca ne ripercorre i fasti sapientemente, dagli esordi, al rapporto don Dr.Dre, i D12, fino agli ultimi lavori.
Il libro ha nei suoi capitoli centrali un intelligente sviluppo non solo musicale, ma anche culturale e razziale: parte con Eminem, bianco di pelle, ma non di cultura e musica; prosegue con Kanye West, nero di pelle, ma ecletticamente incoerente, tanto da lodare Trump, il più bianco di tutti, schierandosi spesso a favore di questo; ultimo, ma non per importanza, Kendrick Lamar, il più nero di tutti, di pelle e di cultura, uno dei personaggi più brillanti, spregiudicati, impegnati e centrali degli ultimi anni, tanto da essere paragonato (esagerando, ma neanche più di tanto), ai grandi leader neri del passato, da Nelson Mandela a Malcom X, passando per Martin Luther King, per finire con il mai dimenticato Tupac.

Queste tre monografie valgono già  da sole il libro. Luca tratta i tre artisti non solo dal punto di vista musicale, con approfondimenti sulla loro produzione, ma anche dal punto di vista culturale tracciando una linea che arriva fino ad oggi. Coscientemente l’autore ha preferito concentrarsi sugli autori fondamentali che hanno permesso all’Hip Hop di evolversi, di scalare le classifiche e diventare un genere universale, piuttosto che percorrere una carrellata di nomi ed eventi rimanendo in superficie.
Se Luca parte con il crossover con il rock, termina gli ultimi capitoli parlando di come si è evoluto, creando generi indipendenti o strettamente collegati con l’Hip Hop: Trap e Grime. L’ultimo, genere inglese, criticato dagli americani e con fatica emerso dalla nicchia, deve molto del suo successo a Kanye West, che di tutto si può accusare, ma gli va riconosciuto di essere sempre un passo avanti sulla musica di domani, dai Bon Iver al Grime.

La Trap è un mondo a parte, soprattutto in Italia, dove arriva al primo posto delle classifiche grazie ad un pubblico giovanissimo e artisti come Sfera Ebbasta e Ghali, che devono, tuttavia, molto del loro successo al fondamentale ruolo del produttore, nel loro caso Charlie Charles. Se da una parte il genere è molto criticato per il suo essere ibrido, per il pubblico giovanissimo e per un’apparente insensatezza (Dark Polo Gang in primis), dall’altro ha ricevuto attenzioni anche dagli addetti ai lavori: stampa, giornalisti e riviste musicali hanno approfondito la questione con interessanti testimonianze e dibattiti ““ tralasciando il magazine Rolling Stone, concentrato sempre sulle tendenze di qualunque tipo, che ha dedicato copertine a Sfera Ebbasta e Ghali, a quest’ultimo è stata dedicata una copertina da Rumore, storico per il suo essere rock, alternativo, è stato tra i primi a riconoscere un’importanza alla figura del trapper italo-tunisino.
Molto interessante il tema caldo del rapporto Hip Hop-droghe: si passa dal connubio LSD-Rock psichedelico all’Hip Hop-Xanax (o benzodiazepine simili). Medicine contro l’ansia diventano le droghe più semplici da trovare (Sfera Ebbasta è diventato quasi un testimonial della codeina che si trova all’interno dello sciroppo per la tosse mista alla Sprite), persino in casa. In America c’è un largo uso di questi medicinali a ricetta bianca, purtroppo anche con decessi tra artisti famosi.
Chiude il libro un piacevole breve saggio sulla letteratura e il rap, dallo studio dei testi di Kendrick Lamar sulla piattaforma Genius, all’italico “non troppo felice tag di «cantautorap »”, sebbene i protagonisti abbiano sdoganato il rap (o pseudo tale) tra le nuove generazioni (Ghemon, Willie Peyote e Coez tra gli altri), accompagnati, tuttavia, dai grandi nomi del passato che cercano di evolversi e restare al passo con i tempi, più o meno riuscendoci.

“Hip Pop. Metamorfosi e successo di beat e rime” si pone come un puntuale e necessario punto di vista sul fenomeno nell’attualità , spaziando bene tra ibridazioni e originalità , personaggi-chiave e forte orgoglio per le proprie radici e tradizioni. Un libro scorrevole e mai banale, con chiarezza rivela un’America ancora legata a pregiudizi, in un clima (politico) non proprio favorevole e una musica che rivendica la propria posizione.

Hip Pop. Metamorfosi e successo di beat e rime
Autore: Luca Roncoroni
Editore: Arcana
Collana: Musica
Anno edizione: 2018
In commercio dal: 25 giugno 2018
Pagine: 224 p., Brossura
EAN: 9788862315203